"Ucraina: ancora tra Est e Ovest", Giordana Pallone
L’Ucraina, per collocazione geografica e ragioni storiche, è un paese di frontiera tra Europa e Russia. Anche all’interno è divisa in aree che, da un punto di vista socio-politico e religioso, potremmo considerare contrapposte: gli “europei” al di qua del Dnepr e i russofili al di là. Il fiume separa poi i greco-cattolici (o uniati), legati alla Chiesa di Roma, dagli ortodossi. La capitale, Kiev, luogo di nascita della Rus’, considerata “madre di tutte le città russe”, ha nella mitologia imperiale russa un ruolo imprescindibile.
Il paese, indipendente dal 1991, è rimasto nell’orbita di Mosca fino al 2004, quando la posizione geopolitica dell'Ucraina è parzialmente cambiata. La rivoluzione arancione guidata da Viktor Juščenko e Julija Tymošenko ha posto all’ordine del giorno l’uscita dall’area di influenza russa e un avvicinamento all’Europa e alla NATO, rivendicando maggiore democrazia, lotta alla corruzione e alle disuguaglianze sociali, e il rilancio dell’economia nazionale.
Le elezioni presidenziali di quell’anno avevano visto contrapporsi il leader del russofilo Partito delle Regioni, Viktor Janukovyč, in un primo momento vincitore, e la formazione Nostra Ucraina, guidata da Juščenko. Dopo il voto, le imponenti manifestazioni di piazza e la constatazione di irregolarità hanno portato a nuove elezioni e all'affermazione di Juščenko, il cui volto sfigurato da un avvelenamento ha fatto il giro del mondo come simbolo di un paese che si ribella al perdurare del dominio di Mosca.
La prova del governo ha però messo in crisi la coalizione vittoriosa e Juščenko ha finito per rompere il fronte arancione siglando un’alleanza con il suo storico nemico Janukovyč, lasciando a Julija Tymošenko la guida dell’opposizione e, soprattutto, l’eredita del movimento che aveva portato alla “rivoluzione” del 2004. La leader è riuscita a imporsi come personaggio di primo piano nel panorama politico ucraino ed europeo. Costituito un nuovo partito (il Blocco Tymošenko), il successo alle elezioni legislative del 2007 le ha consentito di diventare nuovamente primo ministro, dopo la breve esperienza del 2005. A questo periodo di governo risalgono le accuse che hanno portato alla sua condanna e alla sua detenzione.
La “colpa” di Julija Tymošenko è stata quella di firmare un accordo con la Russia per la fornitura di gas giudicato economicamente svantaggioso per l’Ucraina. Per questo atto, con l’imputazione di abuso di potere, è stata condannata, nell'ottobre del 2011, a 7 anni di reclusione e 3 anni di interdizione dall’attività politica, oltre al pagamento di un’ingente sanzione pecuniaria. L’accordo, siglato otto mesi prima con l’allora primo ministro russo Putin, regolava il ripristino delle forniture di gas, che da settimane erano interrotte con gravi ripercussioni per il paese e per l’Europa (destinataria di parte del gas che transita per le condutture ucraine).
L’atto di accusa per l’ex-primo ministro è frutto di una duplice strategia del nuovo presidente Janukovyč - vincitore al ballottaggio per le elezioni presidenziali del 2010 contro la stessa Tymošenko (48,9% a 45,5%) - che mira da una parte a reprimere l’opposizione, e dall’altra a dotarsi del presupposto giuridico per rinegoziare la fornitura di gas con la Russia, sancendo l’illegittimità dell'accordo del 2009. La condanna di Tymošenko è stata aspramente criticata dall’Unione Europea e rischia di compromettere il percorso di avvicinamento all’UE, patrocinato dallo stesso Janukovyč - il quale appena eletto corse a Bruxelles per dare seguito alle trattative per l’accordo di associazione, ansioso di smarcarsi dall’immagine di seguace fedele di Mosca. Un accordo che, appunto, è oggi bloccato dalla vicenda giudiziaria dell’eroina della rivoluzione arancione.
L’UE si trova in una sorta di stallo diplomatico, condizionata dalla volontà di non siglare un accordo di associazione con un paese in cui le libertà politiche sono costantemente negate, i procedimenti giudiziari sono strumentalizzati politicamente e non sono garantiti i diritti civili. Al contempo, Bruxelles non può ignorare che una chiusura definitiva all’Ucraina si tradurrebbe nella consegna definitiva del paese alla sfera di influenza economica e politica di Mosca: uno dei primi atti del presidente Janukovyč, sostenuto dalle potenti oligarchie industriali e dalle popolazioni russofile, è stato infatti quello di rinnovare il contratto di affitto della base di Sebastopoli, in Crimea, alla flotta russa per altri 25 anni. Ci sono anche forti pressioni russe perché il paese aderisca all'unione doganale con Russia, Bielorussia e Kazakistan.
Il Parlamento europeo, che nell’ultimo anno ha approvato quattro risoluzioni sull’Ucraina invitando il governo di Kiev a garantire le libertà politiche e l’indipendenza dei procedimenti giudiziari (come precondizioni irrinunciabili per l’accordo di associazione) ha sempre ribadito l’importanza strategica dell’Ucraina.
L’ultima risoluzione, approvata il 24 maggio 2012, e specificatamente dedicata a Julija Tymošenko e alle sue condizioni detentive, ribadisce l’impossibilità di superare le attuali difficoltà in assenza di “una chiara volontà di attuare le necessarie riforme, in particolare per quanto concerne i sistemi giuridico e giudiziario, ai fini di un pieno rispetto dei principi della democrazia, dei diritti umani e delle libertà fondamentali nonché dei diritti delle minoranze e dello Stato di diritto”.
A pochi giorni dall’inizio dei campionati Europei di calcio, che metteranno l’Ucraina sotto i riflettori d’Europa e del mondo, le istituzioni comunitarie, pur condannando fermamente la situazione democratica del paese, non assumono dunque una posizione unitaria netta, lasciando libertà di azione ai propri rappresentanti: le risoluzioni di Bruxelles non vanno infatti oltre l'“invito” e l'“auspicio”. Si incoraggiano così i politici europei intenzionati a partecipare all’evento sportivo a esprimersi pubblicamente sulla situazione politica interna e a impegnarsi a visitare i detenuti politici per verificarne le condizioni, o, in alternativa, di assistervi esclusivamente in via non ufficiale
La difficoltà di promuovere un vero boicottaggio dell’evento sportivo in programma, come auspicato dalla Cancelliera tedesca Merkel, ha la sua prima ragione nella compartecipazione della Polonia. Tuttavia, non pochi esponenti politici, tra cui il presidente tedesco Gauck, il presidente del Consiglio Europeo Van Rompuy e il presidente della Commissione Barroso, hanno già annunciato che non presenzieranno alle partite che si giocheranno in Ucraina. Anche François Hollande ha espresso forti perplessità sulla sua partecipazione, considerando “un problema” quanto avviene in Ucraina.
A spingere i paesi europei a fare un vero fronte comune nei confronti dell’Ucraina e ad adottare provvedimenti più drastici potrebbero essere la sentenza, prevista per il 26 giugno, sul ricorso presentato alla Cassazione da Tymošenko e le elezioni legislative previste per ottobre. Due momenti in cui dovranno trovare riscontro le richieste europee di garantire l’indipendenza del sistema giudiziario, il rispetto dell’opposizione e le libertà politiche e civili.