a qui l’interessa què de Bielorrússia
I CORTEGGIATORI DI MINSK
Dettaglio di una carta di Laura Canali. Scorri l’articolo per la versione integrale.
La Bielorussia è oggetto di esibite attenzioni di Stati Uniti e Polonia, che intendono sottrarla a Mosca. Malgrado le frizioni e le tentazioni di Lukašenka, il cambio di campo è per ora improbabile. Il dialogo con Vilnius. Le questioni energetiche e le ricadute del Covid-19.
Questo articolo è tratto dal numero 5/20 di Limes, La Russia non è una Cina
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1. La Repubblica di Bielorussia è il tassello che manca a Stati Uniti e soci europei per sigillare definitivamente la Russia entro i suoi confini occidentali. Ma è anche l’unico alleato, seppur bizzoso, su cui Mosca può contare all’interno del Vecchio Continente e che tiene legato a sé da consistenti vincoli geopolitici difficili da recidere. Una «terra nel mezzo» che può diventare campo di un’accesa battaglia per determinarne l’appartenenza all’uno o all’altro campo, oppure un ponte per collegare nuovamente la Federazione Russa all’agognata Europa e dunque all’Occidente.
Tutto dipende dal taglio che Washington intende dare al rinnovato interesse per la repubblica già sovietica (207 mila kmq per appena 9 milioni e mezzo di abitanti), espresso a inizio anno con la trasferta in terra bielorussa del segretario di Stato Mike Pompeo e il reinsediamento dopo lunga assenza di un ambasciatore a stelle e strisce nella vacante sede di Minsk. Due le opzioni sul tavolo americano: tentare di sottrarre la preda agli artigli dell’Orso russo o permetterle di essere accettata nella famiglia europea senza l’obbligo di abbandonare l’amico orientale. Scelta questa che non dispiacerebbe al Cremlino.
Nel primo caso gli Stati Uniti devono decidere se andare allo scontro diretto imbastendo nel paese uno scenario il più simile possibile a quello ucraino o giocare una partita più lunga e snervante per centrare comunque lo stesso risultato, coscienti di quanto robusti siano i legami economici e di sicurezza che tengono insieme i due cugini slavi.
Nel secondo – oggi improbabile stante la russofobia dominante negli Stati Uniti e negli alleati europei vicini alla Bielorussia – Washington deve aprire le porte a Minsk senza il timore che qualche russo possa farvi capolino, stemperare le tensioni con Mosca e condividerne l’influenza in chiave anticinese impedendo a Pechino di mettere le mani sul paese e utilizzarlo come una delle chiavi d’accesso all’Europa per le sue vie della seta. Compito difficile da realizzare: troppo forti per il momento le resistenze interne, ancora valido il pur datato assioma di tenere la Russia lontano dal Vecchio Continente, dunque dalla Germania, persistente la convinzione di poter tenere a bada la coppia russo-cinese.
L’ipotesi di un progetto lento ma costante per un distacco (quasi) indolore dalla Russia appare la più probabile, considerando la difficoltà di intaccare le profonde relazioni tra consanguinei e la persistente immagine della Russia come storico nemico da combattere, funzionale in Occidente agli interessi di molti governi e istituzioni sovranazionali. Strategia di lungo termine favorita da profonde incomprensioni tra i due alleati che raggiungono toni mai prima registrati e toccano temi imprescindibili per l’una e l’altra parte: il disegno d’integrazione statale tanto caro ai russi e i prezzi delle forniture energetiche essenziali per l’economia bielorussa. Il tutto condito da una guerra combattuta a suon di calunnie, accuse e battaglie mediatiche dopo lo scoppio della pandemia e dalle aperture della leadership bielorussa a paesi confinanti non proprio amici di Mosca. Con Minsk che decide di accettare forniture non russe per allentare il vincolo energetico col Cremlino e di dare il via a una nuova condotta tutta interna al paese per agevolare l’arrivo di greggio anche da altri vicini.
Alcuni russi si preoccupano perché non capiscono da che parte stiamo guardando, spiega il presidente bielorusso Aljaksandr Lukašenka a inizio febbraio: «La loro aquila bicefala può scrutare sia a est che a ovest, mentre noi siamo al centro e cerchiamo di osservare cosa sta accadendo intorno a noi» 1. Uno slogan in vista delle prossime elezioni presidenziali di fine agosto. Il leader della Bielorussia punta sull’indipendenza da Mosca, ma intende rinvigorire la posizione negoziale col Cremlino prospettando il salto della staccionata. Soprattutto, constata che un graduale distacco è oggi più verosimile considerando le nuove dinamiche intervenute in una relazione ultraventennale e le assicurazioni degli americani per cui Minsk non deve necessariamente scegliere tra Mosca e Washington ma può contare su chi è disposto a garantirne sviluppo economico e sovranità 2. Cioè l’America.
2. Gli Stati Uniti rinnovano il loro interesse per la Bielorussia quando tra Minsk e Mosca le cose non vanno nel migliore dei modi. La prima non vuole aderire al progetto di uno Stato dell’Unione, ovvero alla fusione di fatto nello stampo russo. La seconda, alle prese con gravi difficoltà economiche in parte dovute agli effetti delle sanzioni ma soprattutto al crollo del prezzo del greggio e alla recente epidemia di Covid-19, intende ridurre gli sprechi e ristrutturare l’intero settore produttivo, ridimensionando la cospicua assistenza finanziaria offerta al vicino slavo – a meno che non opti per la completa integrazione statale. Circolo vizioso stimolato da progressivi cambiamenti all’interno della società bielorussa, con la crescita di un inedito sentimento patrio e di un consistente fronte anti-russo. Di qui la diminuzione del sostegno all’unificazione con la Russia registrata nella pubblica opinione lo scorso anno: dal 60 al 40% 3.
In questa cornice, sospinto dai numerosi segnali lanciati per tutto il 2019 dal presidente Lukašenka all’indirizzo di Washington, il 1° febbraio fa scalo a Minsk il segretario di Stato americano Mike Pompeo, per la seconda tappa del suo tour «ex sovietico» che lo porta prima in Ucraina poi in Kazakistan e in Uzbekistan. Una visita del responsabile della diplomazia a stelle e strisce che manca dal 1994, a cadavere dell’Urss ancora tiepido, e che intende ristabilire un primo legame con un paese considerato quasi-canaglia, tartassato dalle sanzioni e ancora in mano allo stesso leader di ventisei anni fa. Quell’ultimo tiranno europeo che oggi può tornare utile se riuscirà a sottrarsi dall’ombra del cono russo per infilarsi col tempo nelle maglie del reticolato euroatlantico steso intorno ai suoi confini 4.
Per agevolarlo nell’impresa, Pompeo snocciola un rosario di possibili aiuti per un vigoroso sviluppo economico del paese, dall’impegno ad attrarre aziende e capitali americani in terra bielorussa all’esportazione di petrolio made in Usa in alternativa a quello degli Urali, promessa questa subito mantenuta con l’invio a metà maggio del primo carico di greggio statunitense verso Minsk 5. Ma, come retorica pubblica vuole – solo se questa si impegnerà a rivedere il suo modo di intendere la salvaguardia dei diritti umani fino a farlo corrispondere a quello occidentale. Washington si impegna a sostenere la Bielorussia nella costruzione di uno Stato autenticamente sovrano. Obiettivo difficile e pieno di insidie, per raggiungere il quale necessita di un contributo forte e capace, come quello di un nuovo ambasciatore americano che sappia cooperare con le istituzioni locali e rendere il paese economicamente appetibile e indipendente.
Allo scopo viene scelta Julie Fisher, diplomatica di carriera con esperienze nella ex Unione Sovietica avendo ricoperto incarichi in Georgia, Ucraina e anche a Mosca. Individuata dal presidente Trump lo scorso aprile sarà lei, dopo le dovute approvazioni, a riempire un vuoto di ben dodici anni, da quel lontano 2008 quando gli Stati Uniti ritirarono l’ambasciatore a Minsk dopo l’ordine del presidente bielorusso di ridurre drasticamente il personale americano della sede consolare, successivo alle sanzioni imposte dalla Casa Bianca alla Repubblica Bielorussa rea di aver calpestato i diritti dei suoi cittadini 6.
Ma chi è il nuovo ambasciatore a stelle e strisce destinato a dialogare nuovamente col despota Lukašenka? Secondo la testata russa Zavtra, non proprio filo-americana, il vice-assistente del segretario di Stato per l’Europa occidentale e l’Ue è una dura negoziatrice e una decisa sostenitrice del cordone sanitario da ultimare intorno alla Russia e alle sue velleità neo-imperiali. Una diplomatica di rango che parla russo, georgiano e ucraino, spedita da Washington nelle piazze di Tbilisi e Kiev dopo le rivolte che le avevano colorate a sostenere rispettivamente l’operato dell’allora presidente georgiano Saakashvili e di quello ucraino Jušenko, e poi a Mosca lo scorso anno. Nel mezzo, una lunga esperienza in ambito Nato. Dunque, chiarisce il settimanale russo, con competenze in strategia militare proprio come i suoi colleghi americani spediti nelle sedi diplomatiche delle repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale. Zavtra riporta in conclusione il parere di un esperto bielorusso che suona interessante: il compito del nuovo ambasciatore sarebbe di monitorare lo scenario politico locale e, nel caso i dissapori tra Mosca e Minsk non portassero ad accordi concreti, offrire al paese ospitante alternative politiche ed economiche vantaggiose per Washington 7.
La nuova ambasciatrice avrà certamente come interlocutore anche il ministro degli Esteri Uladzimir Makiej, principale sostenitore della svolta a ovest della Bielorussia e da molti indicato come possibile successore dell’attuale presidente. Una figura in sella da anni e pronta a ribadire di recente le linee guida della sua geopolitica: mantenere prioritario il rapporto con Mosca senza però trascurare il rafforzamento delle relazioni con l’asse euro-atlantico 8. Bestemmie per molte orecchie russe, che già da anni mettono il diplomatico bielorusso al centro di feroci attacchi, anche personali. Come quello sferrato quattro anni fa da regnum.ru, dove si accusa il progetto Makiej di voler europeizzare, rendere cattolica e separare la Bielorussia dal resto del russkij mir (mondo russo), portandola inesorabilmente a far parte del concetto polacco-americano del Trimarium (già Intermarium) 9. Oppure le accuse più recenti lanciate dal citato Zavtra sull’atteggiamento antirusso del ministro, considerato principale oppositore alla realizzazione dello Stato dell’Unione 10.
I timori russi che la sterzata verso occidente anche se lentamente si realizzi sono concreti non soltanto tra i media antiamericani. Ne è consapevole il presidente bielorusso che batte sul tasto per segnare punti a suo favore nelle prossime, inevitabili trattative con il collega del Cremlino. «Non dirò che gli Stati Uniti sono nostri grandi amici», spiega Lukašenka dopo l’incontro con Pompeo, che però considera conclusa la fase del muro contro muro. Il leader bielorusso parla di isteria russa per l’apertura a quello che definisce il paese leader del pianeta e non risparmia di ricordare a Putin quando era lui a chiedergli di essere gentile, di non litigare e di ripristinare i rapporti col Numero Uno 11. Per fare da traino a un più che sospirato riavvicinamento che solo Washington può decidere quando e se avverrà. Il tempo c’è ancora.
3. A frenare il desiderio russo di tornare a giocare nel campo occidentale sono anche le sentinelle piazzate dalla Casa Bianca e dalla storia nell’Est Europa, più o meno vigili guardie delle intemperanze e delle ambizioni da grande potenza del Cremlino. Paesi ai quali piacerebbe strappare Minsk dalla supervisione moscovita, ma che devono comunque fare i conti con la postura che sceglierà Washington: se terminare con il loro aiuto l’accerchiamento della Federazione allontanando da Mosca l’ultimo alleato europeo o se cooptare la Russia nel disegno di contenimento cinese per bloccare le aspirazioni eurasiatiche di Pechino, in questo caso appaltando ai russi parte del controllo sul fratello slavo.
La Polonia è sicuramente tra i sostenitori della linea dura, che spinge per aprire alla Bielorussia le porte dell’Unione Europea attraverso il programma di partenariato orientale. Concetto ribadito di recente anche dal primo ministro Mateusz Moravecki, preoccupato che senza una spinta decisa Minsk non riesca a divincolarsi dalla morsa russa 12. Varsavia intravede ulteriori vantaggi economici nel riavvicinamento bielorusso, come l’acquisto di petrolio polacco deciso dal vicino anche dopo aver raggiunto un nuovo accordo per le forniture di greggio dalla Russia; o l’energia che potrà acquistare dalla centrale nucleare che la Bielorussia sta costruendo a ridosso del confine lituano per meglio rispondere alle necessità delle sue regioni nord-orientali. Anche per questo si spende in aiuti al vicino per contrastare la pandemia in corso con l’invio di materiale sanitario in parte destinato alla regione di Grodno, dove vive la maggiore comunità polacca, accolto con entusiasmo dalle autorità bielorusse.
Ma per poter usufruire dei vantaggi energetici dell’impianto atomico di Astravets la Polonia deve superare le resistenze della Lituania, decisa a bloccarne la costruzione e di conseguenza sabotare le negoziazioni sul partenariato orientale, ferme dal gennaio scorso. Vilnius teme la pericolosità della centrale e non gradisce che gli introiti finiscano nelle tasche dei finanziatori russi del progetto, anche se questo atteggiamento cozza con gli interessi bielorussi di allentare la dipendenza energetica da Mosca 13. Il paese baltico apre al vicino ed è interessato all’aumento dello scambio di merci e petrolio attraverso il suo porto di Klaipeda, argomento discusso dal presidente Gitanas Nauseda in un incontro organizzato dal collega Lukašenka, il primo dopo dieci anni con un capo di Stato lituano. Il colloquio ha chiarito il disegno bielorusso di accelerare il rientro nel circuito commerciale e geopolitico europeo e la volontà del paese baltico di lasciare la porta aperta qualora Minsk intendesse utilizzare il condiviso passato storico nel Granducato di Lituania, spiega Nauseda, per rafforzare le relazioni bilaterali e avvicinare le due popolazioni 14.
L’approccio bielorusso volto ad alternare la dipendenza economica dalla Russia con i benefici di un rapporto più stretto con i paesi confinanti e non solo risulta chiaro da altre due mosse decise dalla leadership slava nei mesi scorsi. La prima in novembre quando Lukašenka si reca dopo ventiquattro anni di assenza in un paese Ue, scegliendo l’Austria quale suo principale partner economico a livello europeo 15. La seconda data riporta invece al 29 aprile passato, giorno in cui il presidente bielorusso appone la firma al documento che dichiara ufficiale la costruzione di una nuova condotta energetica per collegare in territorio bielorusso i due rami dell’oleodotto Družba, proveniente da Mosca. Il segmento Gomel-Gorki connetterà le due raffinerie di Mozyr e Naftan, autentici polmoni dell’economia locale, per meglio agevolare il transito del cosiddetto petrolio alternativo, ovvero il greggio non russo proveniente dai paesi confinanti 16.
4. Mosca osserva le strategie bielorusse di americani ed europei con preoccupazione, ma con la consapevolezza di quanto sarà difficile, per alcuni impossibile, recidere quei legami considerati insostituibili che le tengono insieme. L’ultima battaglia del petrolio, ingaggiata e parzialmente rientrata soltanto per lo sconquasso causato dall’emergenza virus nel settore, sommata ai dissidi e alle incomprensioni sul futuro del progetto d’integrazione riscrivono il copione di una commedia che puntualmente viene messa in scena e che terminerà sicuramente con una stretta di mano e nuove intese. Le intemperanze del presidente Lukašenka fanno parte del gioco, e puntualmente si riaccendono alla vigilia di una tornata elettorale. Nulla di cui preoccuparsi. Nessuno può riuscire a scalfire la profonda cooperazione anche militare tra i due, né garantire i tanti soldi che il Cremlino destina al cugino slavo, calcolando che negli ultimi dieci anni sono stati circa il 70% del bilancio pubblico, tra prestiti e investimenti diretti 17. E di certo il cosiddetto petrolio alternativo arriva nelle raffinerie bielorusse a un prezzo più alto di quello che i russi possono garantire nonostante i rialzi pre-epidemia.
Tutto giusto. Ma nelle parole del leader bielorusso pronunciate prima dell’incontro con Putin del 7 febbraio scorso, definito da lui stesso come «il momento della verità», si rintraccia quasi un avvertimento su come le cose tra i due alleati slavi possano cambiare una volta che i padri-padroni dei rispettivi paesi passeranno la mano, dopo tanto tempo trascorso al potere. «Non possiamo essere qui per sempre», chiarisce il batka bielorusso e si chiede quale eredità lasceranno alle nuove generazioni 18. Loro, che incarnano per l’Occidente l’immagine del nemico da combattere, registi di una dura contrapposizione, anche se non proprio voluta. Tiranni di popoli che meriterebbero altro.
Di certo non la guerra che si combatte tra Mosca e Minsk a pandemia scoppiata. Segnale chiarificatore della diminuita fiducia reciproca e amara constatazione del poter contare poco sull’alleato più stretto nel momento dell’emergenza. La prima mossa è del Cremlino, che chiude le frontiere comuni suscitando le ire del presidente bielorusso, il quale risponde mettendo in dubbio le dichiarazioni di Mosca sulla scarsa penetrazione del virus in terra russa. Poi inizia un durissimo scontro sui media: quelli russi che non risparmiano neanche Lukašenka e i suoi consigli contro il Covid-19 a base di vodka e trattore, gli altri che liberi dalla quarantena ironizzano su quella imposta ai vicini. E anche la fornitura di alcuni aiuti diventa motivo di bagarre. Un «ognuno per sé» che può influire sul futuro delle relazioni e sui progetti di integrazione.
Dopo un quarto di secolo il rapporto tra Russia e Bielorussia è certamente cambiato sia nell’operato delle parti che nei fattori esterni, ragiona Fëdor Luk’janov, una delle voci più ascoltate nei palazzi moscoviti del potere. E una revisione a questo punto è del tutto naturale. Nel tempo Mosca e Minsk hanno imparato a difendere i rispettivi interessi ma hanno talmente bisogno l’una dell’altra da non avere alternative al proseguire insieme. Certamente in maniera più pragmatica e meno «intima», ma senza che nessuna forza esterna possa mettere bocca, anche perché in fondo non interessata al risultato finale 19. Il che non esclude che un tentativo possano farlo.
Questo articolo è tratto dal numero 5/20 di Limes, La Russia non è una Cina
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Note:
1. A. Korybko, «Russia-Belarus Relations: “The Moment of Truth” Has Arrived. Belarus Drifting Westward?», globalresearch.ca, 6/2/2020, bit.ly/3cEETxd
2. «U.S. Nominates First Ambassador to Belarus in Over a Decade», rferl.org, 21/4/2020, bit.ly/3dRCVKh
3. B. Whitmore, «Is Russia’s Pressure on Belarus Putting It in Play for the West?», worldpoliticsreview.com, 24/2/2020, bit.ly/3dRlQA5
4. La Bielorussia confina con Polonia, Lituania e Lettonia, membri di Nato e Ue. La lunghezza del confine con i tre paesi euroatlantici è di 1.280 chilometri, 3 in meno del confine che divide il paese dalla Russia.
5. «First Shipment of U.S. Oil to Belarus”» state.gov, 15/5/2020, bit.ly/3dU8Dq5
6. «U.S. Nominates First Ambassador to Belarus in over a Decade», cit.
7. D. Jurganov, «Na očeredi Belorussija. SŠA načinajut plotno rabotat’ s Minskom» («La prossima è la Bielorussia. Gli Stati Uniti iniziano a lavorare a stretto contatto con Minsk»), zavtra.ru, 1/5/2020, bit.ly/2AqLyNl
8. A. Foster, «Is Belarus Doomed to Dependence on Russia?», eurasiareview.com, 2/4/2020, bit.ly/3cEFfnx
9. Ju. Barančik, «Belarus’: elita uže vybrala preemnika Lukašenko («La casta ha già scelto il successore di Lukašenko»), regnum.ru, 6/8/2016, bit.ly/363K3k0
10. D. Jurganov, op. cit.
11. A. Korybko, op. cit.
12. A. Il’jaševič, «Pol’ša rešila v uslovijakh krisiza borot’sja s Rossiej za Ucrainu i Belarus’» («La Polonia ha deciso nella crisi di battersi contro la Russia per l’Ucraina e la Bielorussia»), rubaltic.ru, 22/4/2020, bit.ly/2Lya7ub
13. Y. Preiherman, «Belarus and the EU: Where Could Another Rapprochement Lead?», jamestown.org, 27/1/2020, bit.ly/368VIOG
14. «The President discussed the Eastern Partnership and joint efforts in fighting COVID-19 with the President of Belarus», lrp.lt ,23/4/2020, bit.ly/3bJmqi5
15. A. Wilson, «Should the West be Wary of an Imminent “Union” of Russia and Belarus?», jamestown.org, 20/12/2019, bit.ly/3cEABpA
16. «Belneftekhim: New trunk line will connect two oil refineries, improve oil supplies logistics», belarus.by, 30/4/2020, bit.ly/2AAiqU7
17. A. Foster, op.cit.
18. A. Korybko, op. cit.
19. F. Luk’janov, «Rossija i Belarus’ drug drugu nužny, svjazi unikal’ny i nezamenimy» («Russia e Bielorussia hanno bisogno una dell’altra, i rapporti sono unici e insostituibili»), globalaffairs.ru, 13/2/2020, bit.ly/3bxoQQA
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