Moratòria: una victòria de tots (fins i tot dels que la menyspreuaven)

Lo si sapeva, lo si era previsto e immaginato. Una volta conseguito lo storico obiettivo del voto dell’assemblea generale dell’ONU per una moratoria delle esecuzioni capitali nel mondo, i “padri” di questa iniziativa sarebbero spuntati come funghi dopo la pioggia. Anche di quanti, fino a ieri, guardavano all’iniziativa con sufficienza, sostenendo che si trattava di qualcosa poco più che simbolico, assai poco concreta e significativa. Fateci caso, sfogliate i giornali di queste ultime quarantott’ore; leggete commenti ed editoriali, sono un esercito gli opinionisti che si felicitano e rallegrano per una vittoria conseguita che solo fino a ieri guardavano con indifferenza e senza di superiorità.

Che si muti di opinione è positivo, e infatti si dice che solo gli imbecilli possono rivendicare una immutabile coerenza. Ora chi ha mutato opinione (benvenuto) e che dispone di tribune e di possibilità di veicolare informazione, osserva che “questo evento storico non solo all’estero ma anche nel nostro paese ci sembra sia stato minimizzato, sottovalutato. Il partito del benaltrismo e del radicalismo (“non cambierà niente”) è sempre presente: un partito che si sposa con l’indifferenza, il cinismo e il talvolta qualunquismo e l’amoralità purtroppo sempre più diffusa”.

E’ lo stesso commentatore che qualche settimana fa, nella catena di quotidiani a cui collabora, osservava: “E’ forse un errore dare per scontato che la proposta europea sulla morato­ria universale sulle esecuzioni capita­li venga accolta dall'assemblea delle Nazioni Unite. I più soddisfatti sembrano - a giudicare dalle interviste - Romano Prodi, Massimo D'Alema e, neanche a dirlo, Marco Pannella e gli altri dirigenti radicali. Questi ultimi sono an­cora in sciopero della fame, dall'inizio di settem­bre, ma pochissimi se ne sono accorti perché i media non ne parlano. Abbiamo altre volte sot­tolineato che lo strumento dello sciopero della fame non credo sia utile per l'assenza di un in­terlocutore o meglio di una controparte. Si scio­pera, forse, contro la Cina, gli Usa, i paesi isla­mici e gli altri, sostenitori dei boia? Oppure con­tro Bruxelles o lo stesso governo italiano che ri­tarderebbero procedure complesse e diplomati­che? Non è chiaro”.

Dopo aver incidentalmente sostenuto che riteneva ormai datato e inutile lo sciopero della fame come strumento di lotta (“pensato e attuato solo per garantire visibilità agli amici radicali”) Venivano individuati due motivi che avrebbero dovuto giustificare perplessità:Primo. Sulla scorta dell'esperienza dei due tentativi fallimentari del passato, non sempre le firme si traducono in voti in sede di assemblea perché l'influenza di grandi paesi (come Cina, Usa, Giappone, Iran) sui piccoli Stati può far capovolgere i risultati. L'influenza delle lobbies di potenti paesi nei confronti dei paesi deboli può essere molto forte e determinante. In più c'è da considerare che gli Stati musulmani hanno una concezione teocratica, arcaica della pena di morte (ammessa e regolamentata dalla sha­ria, che prevede anche impiccagioni e lapidazio­ni e, come nel caso dell'Arabia Saudita, del ta­glio della testa davanti alle moschee). Certo, de­sta irritazione e forse rabbia il fatto che una grande democrazia, come gli Stati Uniti, si tro­vi «alleata» di paesi dittatoriali o con regimi for­ti. Washington, anche in questa occasione, non si esporrà molto al Palazzo di Vetro, confidan­do — senza però rimanere inattiva — nella sconfitta del fronte antiboia. Anche questa volta paesi come Egitto e Singapore svolgeranno un ruolo importante per convincere gli incerti, in nome dell'autonomia culturale, a dire "no" al­la moratoria. Nel frattempo, come a sfidare l'Onu, negli Usa i boia continuano a operare e si registra solo qualche sospensione.

Secondo. In passato gli abolizionisti sono stati sconfitti perché si limitavano a corteggiare i pae­si che avevano già espresso il loro sì, cercando di alzare il tiro per ottenere nei tempi brevi — con la maschera della moratoria — l'eliminazione definitiva della pena capitale. In altre parole il radicalismo rischia di diventare un boo­merang, compromettendo il successo dell'iniziativa. Forse ha ragione il professor Antonio Cassese, quando, citando Macchiavelli, afferma che bisogna essere astuti e pragmatici. Infatti, dice, «bisogna essere golpe (volpe) e conoscere i lacci e lione e sbigottire i lupi». Insomma «non potendo essere leoni, è bene dar prova di saga­cia». Ma saranno sagaci i nostri irriducibili so­stenitori del «tutto e subito», a cominciare dai 27 paesi Ue, o si rischierà di compromettere l'importante obiettivo di abolire i bracci della morte in tutto il mondo?

Ora è cambiato tutto. Ora che l’assemblea generale dell’ONU ha votato, “si tratta di un passo essenziale, necessario per arrivare, con gradualismo, alla definitiva abolizione della pena capitale in tutto il pianeta...”. Ma va? Ecco che si scopre che “l’avevo sempre detto!”.

Va bene, godiamoci questa vittoria e cerchiamo di non dare troppo peso a queste cose buffe. Però una piccola osservazione va ugualmente fatta: chi rimprovera indifferenza, silenzi e censure, riesce, nel suo articolo (in due giorni pluripubblicato su vari giornali) a ringraziare e citare tutti: da Amnesty International alla Comunità di Sant’Egidio ad Antonio Cassese, da D’Alema a Prodi, da Veltroni a Berlusconi, da Fini a Casini...Citato – perfino! – “Nessuno tocchi Caino”, - a denti stretti evidentemente, si ammette che abbia fatto qualcosa – inserita tra Amnesty International e Sant’Egidio; al solito chi può mancare? Indovinato: Pannella e i radicali. Neppure di sfuggita. Ormai l’omissione è un qualcosa di pavloviano, un riflesso condizionato.

Se questi sono i commenti, ha ragione l’opinione la pubblica opinione a essere indifferente e a sottovalutare questa svolta.

24-XII-07, Valter Vecellio, notizieradicali