entrevista a Marco Pannella, XII-07

di Marco Palombi

Intervista a Marco Pannella  

“Questo appartamento è la nostra unica sede. L’abbiamo comperata nel 1985 e ci mancano ancora dieci anni di mutuo. Altri partiti invece sono proprietari immobiliari che fanno concorrenza alla Chiesa. Certo, quando l’essere è striminzito, è umano caricarsi di averi…”. Marco Pannella nella casamatta di via di Torre Argentina a Roma, al solito, fuma, parla e plasticamente impersona l’alterità Radicale, “duemila sfigati senza una lira, gente che non ha averi, non ha enti, non ha banche”, eppure resiste da decenni in “questa nazione distrutta: non una società di coscienza, ma di riconoscenza”. Il nemico? “L’assetto mafioso del paese”, oggi impersonato “dai buoni a niente dell’Unione contro i capaci di tutto della CdL” (nella fenomenologia pannelliana, noti anche come “palermitani” e “corleonesi”). 

E il bipolarismo, allora?

“Anni fa, quando Galli parlava di bipolarismo imperfetto, gli dicevo: no, in Italia c’è un monopartitismo imperfetto” 

Nel senso che sono tutti uguali?

“Quasi tutti. Il quasi siamo noi”. 

Però ci sono delle novità. Il PdL di Berlusconi…

Il Partito peronista della Libertà”. 

Peronista?

“E’ l’aggettivo che lo configura meglio. Anche il Sudamerica è pieno di partiti peronisti…”. 

Siamo un paese del Sudamerica?

Ma nemmeno. Negli anni 20 eravamo piccoli e marginali, eppure siamo riusciti a trasmettere al mondo il virus del fascismo. Ora in Europa abbiamo fatto lo stesso con la partitocrazia. L’Italia non è uno Stato di diritto. Non dico sia una dittatura, ma non è una democrazia”. 

Parliamo del PD

“Che devo dire? La mezzadria è antica tradizione, e il PD è un partito a mezzadria tra ex PCI ed ex DC”. 

Ancora arrabbiato per l’esclusione dalle primarie?

“Sarei stato sorpreso di essere ammesso. Eppure io presentai liste per “il Partito Democratico” decenni fa. Persino con Occhetto, prima della svolta, sembrava esserci un disegno comune. Rutelli poi, quand’era in fasce, subito dopo mamma e papà disse “Partito Democratico”. 

E allora?

“Avrei preso un 10 per cento, poteva partire un’ondata di rinnovamento. Non l’hanno voluta. D’altronde i miei rapporti col PCI sono sempre stati così: ci chiamavano radical-fascisri, ma sul divorzio e l’aborto li costringemmo a schierarsi e non ce l’hanno ancora perdonato. La verità è che io rappresento buona parte dell’area affettiva del popolo comunista”. 

E la Cosa rossa?

“Bertinotti ha il problema di come occultare la falce e il martello”. 

Quindi tutti questi cambiamenti…

“Si cambia per mantenere la stessa situazione”. 

Della Rosa nel Pugno che dice?

“Vedo che i compagni socialisti hanno riscoperto il socialismo, e fanno la costituente. Tutti fanno le costituenti, forse perché pensano ai ricostituenti che vorrebbero assumere”. 

Rammaricato?

“Mi rammarica che scelgano di fare altro perché pensano che le elezioni sono andate male. In realtà quel milione di voti ha cambiato la storia d’Italia”. 

Quindi è soddisfatto dell’avventura con Prodi…

Noi siamo i custodi dell’utopia prodiana: stupire con le riforme. Non credo che ci riuscirà, ma aver resistito è un merito enorme”. 

Altre note positive?

“Abbiamo avuto l’indulto, l’impegno per la moratoria sulla pena di morte. Ma soprattutto “palermitani” e “corleonesi” sono in crisi totale, e c’è un fiorire di cose nuove”. 

Per esempio?

“E’ importante che “il Corriere della Sera” abbia fatto conoscere ai ceti medi studiosi come Gavazzi e Ichino, tutta quella sinistra liberale, spesso ex comunista, che dice cose nuove, interessantissime”.

 

NOTE: Da Vanity Fair dicembre 2007

notizieradicali, 30-XI-07.