17 de juliol, la lluita radical pel Tribunal Penal Internacional

Anniversario dell'adozione dello Statuto della Corte Penale Internazionale: interrogazione dei radicali, primo firmatario Sergio D'Elia, sul mancato adeguamento legislativo dello Statuto della Corte da parte dell'Italia
di Antonella Spolaor:

Periodicamente, Non c’è Pace Senza Giustizia ospita nelle sue sedi di Roma e Bruxelles studenti o neo-laureati che vogliono acquisire esperienza nel campo del diritto internazionale e dei diritti umani. Lavorano così con noi per qualche settimana, tra iniziative sulle mutilazioni genitali femminili, sulla democrazia in Medio Oriente e sulla giustizia penale internazionale.

 

Nella sede di Roma, quando arriva l’inevitabile momento delle fotocopie da fare, i nostri giovani collaboratori mi chiedono la password per accedere alla fotocopiatrice comune di Torre Argentina: 17798 rispondo io ed altrettanto inevitabilmente arriva in risposta un’occhiata interrogativa. Si tratta di una data, non di un semplice numero a cinque cifre: 17 luglio 1998.

 

E’ una data memorabile, non solo per i radicali e non solo per Non c’è Pace Senza Giustizia: è il giorno in cui è stato adottato lo Statuto della Corte Penale Internazionale, il primo organo indipendente e sovranazionale che ha giurisdizione su genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. E’ il primo e unico strumento indipendente e sovranazionale che ha il potere di porre fine all’impunità per coloro che vengano riconosciuti colpevoli di crimini gravissimi, siano essi privati cittadini, generali o capi di stato. Lo Statuto della Corte è uno dei documenti più avanzati e più garantisti sia dei diritti delle vittime che dei diritti degli accusati. E soprattutto, non prevede la pena di morte, in nessun caso.

 

Il Partito radicale aveva iniziato la sua iniziativa politica per far sì che questo evento si verificasse nel 1993 con il Consiglio Federale di Sofia, dove gli oltre duecento parlamentari di tutto il mondo iscritti e membri del Consiglio votarono una mozione che delineava il percorso politico del partito con l’obiettivo di vedere istituita la Corte Penale Internazionale entro la fine del millennio. Si era nel pieno della crisi dei Balcani, di lì a poco Emma Bonino, segretaria del Partito radicale, avrebbe ottenuto l’incarico di Commissaria Europea per gli Aiuti Umanitari e sarebbe diventata la più attiva e incisiva personalità politica europea per l’istituzione della Corte.

 

Nel 1994 viene costituita Non c’è Pace Senza Giustizia, l’associazione “ad hoc” che ha il mandato statutario di promuovere iniziative politiche in favore della Corte, così come Nessuno Tocchi Caino ha come obiettivo l’abolizione della pena di morte e la moratoria universale delle esecuzioni capitali. E’ questa la strategia che viene adottata dal Partito radicale, affidare la responsabilità precisa e circoscritta ai compagni che assumono la guida di queste due associazioni di condurre l’iniziativa, di cercare consensi e, soprattutto, di autofinanziarsi.

 

Ogni anno, in questo periodo, ripenso a quelle cinque settimane in cui si svolse la Conferenza Diplomatica dei plenipotenziari dell’ONU convocati a Roma per adottare lo Statuto della Corte. A New York seguivano i negoziati e tenevano i contatti con le organizzazioni pro-corte e con la missione italiana all’ONU Marco Perduca e Marco Cappato; a Roma Sergio Stanzani e Marino Busdachin, presidente e segretario di NPSG, coordinavano le iniziative e si riunivano alla Farnesina con i nostri diplomatici; a Bruxelles Gianfranco Dell’Alba faceva approvare dal Parlamento e dalla Commissione europea risoluzioni e mozioni a favore della Corte. Olivier Dupuis, segretario del Partito radicale transnazionale, e Marco Pannella, insieme ai dirigenti e ai militanti di Torre Argentina, organizzavano marce, digiuni, pubblicazioni di pagine sui quotidiani. Radio Radicale trasmetteva quotidianamente e integralmente le sedute pubbliche della Conferenza, unico organo di informazione a farlo.

 

Niccolò Figà-Talamanca, giurista con un master in legge conseguito all’Università di Nottingham, si inventò di far organizzare a Non c’è Pace Senza Giustizia il “programma di assistenza giuridica” destinato alle missioni dei paesi più piccoli e più in difficoltà presenti alla Conferenza Diplomatica. Si trattava in sostanza di offrire gratuitamente alle delegazioni meno numerose - che rischiavano di non poter seguire in modo approfondito i negoziati che si svolgevano spesso in mini-sessioni parallele - giovani laureati in diritto internazionale che li affiancassero per tutte le cinque settimane di lavoro come se fossero membri della delegazione stessa, in un rapporto di lealtà e confidenza ma con una posizione chiara fin dal principio in favore dell’istituzione della Corte. Oltre trenta giuristi parteciparono al programma e dieci delegazioni ne usufruirono. Fu durante quell’estate che Carmen Colitti, fresca degli studi dell’Accademia Diplomatica di Malta e che ora ha un incarico presso le Nazioni Unite, entrò a far parte di Non c’è Pace Senza Giustizia.

 

Ma se la Conferenza Diplomatica si è chiusa con successo, vedendo approvato lo Statuto con 120 voti a favore, 7 contrari e 21 astenuti, fu anche grazie a tre persone straordinarie nel loro campo, che fin dall’inizio hanno dato il loro supporto alla campagna di Non c’è Pace Senza Giustizia e del Partito radicale: i tre presidenti della Conferenza, il professor Cherif Bassiouni, giurista egiziano; Philippe Kirsch, diplomatico canadese, e il Professor Giovanni Conso. La loro determinazione è stata fondamentale. Una leggenda circola tra le ONG – che non è mica una leggenda, poi – a proposito dei negoziati degli ultimi giorni. Si dice che l’ambasciatore David Sheffer,  capo della delegazione americana alla Conferenza, a conclusione delle sessioni più delicate di negoziato su alcuni articoli dello Statuto, chiamasse i delegati di quei paesi che oramai era chiaro avrebbero votato a favore dello statuto “per scambiare un momento due parole” nel suo ufficio. All’uscita di questi brevi incontri tuttavia, i delegati trovavano un sorridente Philippe Kirsch altrettanto desideroso di scambiare due parole nel suo, di ufficio. Quali siano stati gli argomenti dell’uno e dell’altro non lo sappiamo, ma è chiaro quali siano stati i più convincenti ed efficaci. Philippe Kirsch, esperto di diritto del mare – uno dei settori più complicati del diritto internazionale – è ora Presidente della Corte Penale Internazionale.

 

Una bella lotta la si ebbe non solo sul fronte dei paesi contrari alla Corte, ma anche su quello delle organizzazioni non governative. Il movimento compatto delle decine di organizzazioni a favore della Corte che confluirono a Roma in quei giorni si spaccò a proposito dell’articolo 13 (b) dello statuto. Questo articolo da un notevole potere al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, qualora nessuno dei membri permanenti si opponga. In breve, il Consiglio di Sicurezza ha il potere di attivare la giurisdizione della Corte verso un paese che non abbia ratificato lo Statuto. Naturalmente, ha anche il potere di bloccare una richiesta di attivazione della giursdizione della Corte verso uno dei suoi membri permanenti: basta infatti che l’incriminato si opponga. Poiché oltre a Francia e Gran Bretagna, gli altri membri permanenti del Consiglio sono Cina, Russia e Stati Uniti, un coro di proteste indignate si levò alla prospettiva che lo Statuto della Corte prevedesse questa possibilità, tanto che fino all’ultimo si temette che la Conferenza Diplomatica si risolvesse con un nulla di fatto. Amnesty International guidava il fronte degli oppositori, pronta a sacrificare il lavoro di anni pur di perseguire l’ideale di uno statuto perfetto.

 

Invece, con grande saggezza, vennero seguite le indicazioni di chi sosteneva – come Emma Bonino spiegò in quei giorni in una conferenza stampa durante la quale venne duramente attaccata da Human Rights Watch – che in ogni caso il potere autonomo della Corte sarebbe via via aumentato con il crescere delle ratifiche, che era importante poter concludere la conferenza diplomatica con un successo politico lasciando le eventuali modifiche statutarie agli anni a venire.

 

Così è stato e nonostante lo Statuto affidi questo potere al Consiglio di Sicurezza, oggi dobbiamo ricordare che è stato per volontà dei “P5” se il procuratore della Corte Penale Internazionale Moreno Ocampo ha potuto avviare le indagini sul caso del Darfur: il Sudan infatti, non ha ratificato lo Statuto.

 

La Corte Penale Internazionale è entrata in funzione il 1 luglio 2002, dopo il raggiungimento delle 60 ratifiche necessarie in soli quattro anni, un tempo da record. A partire dal 1994 e fino ad oggi Non c’è Pace Senza Giustizia ha organizzato trentatre conferenze internazionali e decine di seminari – per l’adozione dello Statuto prima, per la sua ratifica poi - alle quali hanno partecipato centinaia di persone tra membri di governo, parlamentari, organizzazioni della società civile, giuristi, giornalisti, dagli Stati Uniti, all’Africa e al Medio Oriente.

 

Ha condotto insieme al Partito radicale una missione di documentazione di gravi violazioni del diritto internazionale in Kosovo, nel 1999: il rapporto finale, presentato da Olivier Dupuis e Gianfranco Dell’Alba in una conferenza stampa a latere dei negoziati di pace di Rambouillet, è poi divenuto parte della documentazione del Tribunale Internazionale per la ex Jugoslavia. Progetti di documentazione su gravi violazioni dei diritti umani sono stati condotti in Sierra Leone e a Timor Est. I governi di tutto il Medio Oriente si sono riuniti per la prima volta per discutere della possibilità di ratificare lo Statuto della Corte a Sana’a, capitale dello Yemen, nel 2004, in quella conferenza organizzata da Non c’è Pace Senza Giustizia che è servita come modello per avviare i nuovi programmi dei G8 in favore della democratizzazione della regione.

 

Eppure, nonostante questi siano oramai fatti storici, né a Non c’è Pace Senza Giustizia, né al Partito radicale, né a Nessuno Tocchi Caino è stata riconosciuta la dignità, tanto per fare un esempio, di venire anche solo semplicemente elencata tra le moltissime organizzazioni – non governative o politiche o religiose – segnalate nella nuova Enciclopedia dei Diritti Umani dell’Utet. Che so, magari anche solo un gradino più in basso rispetto alla Casa della Carità di Milano, o al Comitato per la verità e giustizia per Genova, per non parlare della Comunità di Sant’Egidio, tutte debitamente elencate peraltro.

 

Ecco perché non ho avuto esitazioni ad iniziare questo tributo ai protagonisti del 17 luglio 1998  rivelando la password della fotocopiatrice. E’ praticamente certo che la riservatezza verrà conservata.

 Nel frattempo, in vista della grande corsa per il voto all’ONU sulla moratoria delle esecuzioni capitali, oggi possiamo permetterci di indulgere – giusto qualche minuto – a ripensare a quel giorno di nove anni fa, quando nella notte del 17 luglio la comunità internazionale decise di cambiare nettamente le politiche e il governo delle situazioni delle più gravi violazioni dei diritti umani. Anche grazie a noi.