Europa federata, vv.aa. (3/3)

I problemi politici dell’unificazione europea

di Gaetano Salvemini


(prima parte)


Se tutti gli uomini fossero animali ragionevoli – come li definì a suo tempo Aristotile – gli uomini dell’Europa avrebbero appreso dagli Svizzeri a formare una federazione, che rendesse impossibile la guerra fra i popoli federati.
La pace fra i quattro gruppi nazionali, che formano la federazione elvetica, è il segreto della prosperità in quel paese, che non è privilegiato da ricchezze minerarie, o da particolari ricchezze agricole, che importa tutte le materie prime, e salvo che alle acque scendenti dai suoi monti, deve tutto il resto del proprio benessere al buon senso e al lavoro dei suoi abitanti.
Divieto di guerra implica limitazione della sovranità. Questa limitazione di sovranità nei gruppi locali è il pilastro fondamentale su cui riposa la federazione elvetica, la federazione nord-americana e ogni altra federazione.

 

Date ai cantoni svizzeri la assoluta sovranità degli Stati cosiddetti indipendenti, cioè riconoscete ad essi il diritto di guerreggiarsi e la Svizzera vedrà sparire tutta la sua civiltà in una pazza gara di selvagge reciproche sopraffazione.
La specie umana, che abita l’Europa, sembra non avere nulla in comune con quella della Svizzera. L’Europa consiste tutta di Stati “sovrani”, cioè investiti del sacrosanto diritti di massacrare da essi i sudditi propri. In realtà, si tratta di pigmei, secredenti e sedicenti sovrani, tutti stretti fra due colossi – la Russia sovietica e il sistema anglo-americano – i quali interferiscono nella vita di quei pigmei, li fanno ballonzolare ai loro ordini, e concederanno loro l’onore di sterminarsi a vicenda solamente in quel giorno in cui essi – i due colossi – decideranno di distruggere nel mondo quanto non è stato demolito o assassinato durante la prima e la seconda guerra mondiale. Cioè sono essi – la Russia sovietica ed il sistema anglo-americano – i veri sovrani delle pseudo sovrane nazioni europee.
L’Europa che una volta soleva dividersi l’Africa e l’Asia in sfere d’influenza, è stata, alla sua volta divisa in sfere di influenza fra la Russia, che è mezzo asiatica e mezzo europea, e il sistema anglo-americano, che è europeo solamente per le isole britanniche ed è mondiale per tutto il resto. Rientra nella sfera di influenza sovietica tutta quella che una volta si chiamava Europa orientale, con qualche fetta in sopramercato. E rientra nella sfera d’influenza anglo-americana tutta quella parte dell’Europa che si affaccia sul Mare del Nord, sull’Atlantico e il Mediterraneo. Fra queste due sfere d’influenza, nel cuore dell’Europa, giacciono prostrate la Germania e l’Austria, squartate fra inglesi, americani, russi e francesi – questi ultimi con il permesso dei padroni veri – e messe a soqquadro da 11 milioni di uomini, donne, vecchi, bambini, espulsi dalle loro sedi, alberi sradicati dalla più crudele bufera della storia.
E’ possibile sperare che questa Europa scombinata abolisca il diritto di guerra fra le nazioni pigmee che la abitano e si organizzi in federazione sul modello svizzero? Se gli uomini fossero ragionevoli, la risposta non sarebbe dubbia, Anzi gli Stati Uniti d’Europa, come li vaticinò Carlo Cattaneo or è un secolo, esisterebbero già e noi non dovremmo disturbarci a desiderarli.

 

Se dovessimo affidarci alla logica della ragione ragionante, non avremmo bisogno di arrestarci neanche agli Stati Uniti d’Europa. Potremmo arrivare senz’altro agli Stati Uniti del Mondo. Perchè, infatti, dovremmo largire pace e prosperità ai soli popoli dell’Europa, e non ai popoli di tutto il mondo? Perché non dovremmo eliminare la guerra anche fra gli Stati Uniti d’Europa e le altre parti del mondo?
La realtà – e non è la logica – è che di regola diplomatici, generali, ammiragli, politicanti, giornalisti, filosofi e professori universitari non sono animali ragionevoli. Sono solamente animali; e talvolta i filosofi e i professori sono i più nocivi. Costoro in tutti i paesi dell’Europa continuano a cantare le glorie delle proprie sovranità nazionali, cioè di gusci d’uova che non hanno più nessun contenuto, né tuorlo né chiara. E dietro a loro si precipitano – pecore cieche al seguito di montoni ammattiti – milioni e milioni di uomini e donne; e ogni popolo pretende di avere in sé elementi innati di superiorità su tutti gli altri; perché la follia del Popolo Eletto, se si è manifestata in forme cafonesche e brutali nella Germania di quest’ultimo mezzo secolo, si trova, più dissimulata – non oso dire più attenuata – nei paesi di lingua inglese, e si trova non meno cafonesca – ma meno pericolosa data la loro debolezza – nei paesi latini. E quest’ultima guerra ha esasperato ovunque la frenesia nazionalista, fino ad invadere gli stessi partiti socialisti e comunisti di tutti i paesi, compresa, anzi in prima linea, la Russia sovietica. E dovunque, oggi,n Europa non si trovano che vincitori smaniosi di vendicare i torti, e le umiliazioni, e i pericoli di ieri; e vinti smaniosi di vendicare domani i torti e le umiliazioni che soffrono oggi. E noi stessi, che siamo raccolti in questa sala, non siamo più gli uomini di mezzo secolo fa, quando la condanna a morte in Ispagna di un uomo solo – Francisco Ferrer – provocò un uragano di proteste in tutta Europa. Noi non ci scandalizziamo più quando delitti simili si commettono, non su un uomo solo, ma su milioni di uomini; le nostre cotenne morali sono diventate insensibili, appunto perché quei delitti non sono più eccezionali, ma sono diventati universali. In quest’ultimo mezzo secolo l’umanità ha perduto tutto il progresso morale che aveva guadagnato nei due secoli precedenti; in una parola, noi ci siamo tutti imbarbariti.
Come se tanti guai non bastassero, ce n’è uno, che non è il meno serio di tutti. Esiste una grande penuria di idee chiare in coloro che invocano la federazione europea. E questa confusione introduce nella situazione, già difficile, un fattore forse più pericoloso che non sieno i fantasmi di sovranità nazionali ritardatisi nei cervelli nazionalisti anchilosati.
I congressi federalisti moltiplicano in Europa, e sarebbero sintomi confortanti del fatto che cresce il numero degli animali disposti a diventare ragionevoli, se i convenuti a queste riunioni non scansassero metodicamente tutte quelle discussioni che potrebbero produrre divisioni, credendo di preparare la federazione europea solamente col cantare in coro: “viva la libertà, semo fratelli”. Ma discussioni e divisioni, oggi scantonate,m proromperebbero e renderebbero impossibile ogni azione efficace domani, qualora un’azione realizzatrice fosse possibile e si rendesse necessaria-
Non sarebbe meglio affrontare quelle discussioni oggi, senza reticenze e pudicizie, che sono in donfo niente altro che reciproci inganni? Occorrerebbe un astrologo a spiegare quale congiunzione di stelle destinò chi vi parla in questo momento a tirare durante tutta la sua vita sassi in piccionaia. Purtroppo egli non può sottrarsi neanche oggi a quell’istinto infausto. Perciò vi domanda il permesso di accennare ad alcuni problemi concreti che dovrebbero essere affrontati, anche a costo di far finire i convegni federalisti; e questa stessa riunione, in un pugilato generale.
Un primo problema è: “Quali dovrebbero essere i rapporti fra la comunità britannica e gli Stati Uniti d’Europa? Se la comunità britannica consistesse solamente delle isole britanniche, è evidente che essa dovrebbe entrare a far parte degli Stati Uniti d’Europa. Ma essa consiste, oltre che delle isole britanniche, di territori sparpagliati in America, Africa e Oceania. Ed ecco che sotto i nostri occhi – nel corso di una generazione – gli Stati Uniti d’America, dopo un secolo e mezzo di secessione, sono rientrati a far parte della Comunità mondiale britannica. Vi sono entrati, come è abitudine dei popoli a mentalità inglese, senza trattati scritti, di fatto, per spontaneo processo di conglomerazione, dovuto alla necessità di una politica internazionale comune.
E’ un sistema che oscilla continuamente attraverso talvolta clamorosi bisticci fra i due associati; il governo di Londra, che ha la esperienza, ma non ha i capitali, e il governo di Washington, che ha i capitali e non ha l’esperienza, e chi ha l’esperienza acquista i capitali. Ma sarà bene non dare eccessiva importanza a quei bisticci. L’unità anglo-americana resterà.
Ci troviamo qui di fronte ad un vero e proprio sistema intercontinentale permanente, del quale le isole britanniche sono parte integrante. Esse non potrebbero aderire alla federazione europea senza che questa federazione diventasse parte del sistema intercontinentale anglo-americano.
Chi caldeggia quella adesione, deve parlare di federazione mondiale o semi-mondiale, e non più di Stati Uniti d’Europa, come chi in Svizzera caldeggiasse l’adesione della Svizzera ad una eventuale federazione europea non dovrebbe più parlare di federazione elvetica, dato che questa sarebbe assorbita in un sistema federale più vasto.
Questo sarebbe poco male, anzi sarebbe un maggior bene se, nel presente stato dei rapporti internazionali, siffatta associazione non minacciasse di trascinare l’Europa in un conflitto fra il sistema sovietico e il sistema anglo-americano. La federazione europea deve nascere per far la pace: non per fare la guerra in Europa. 
Winston Churchill è diventato il cavaliere errante della federazione europea. Di tutti i tegoli che sono cascati sul capo a noi federalisti in questi ultimi tempi, questo è stato il tegolo peggiore.

 

L’unità europea, invocata da Churchill dopo lo squartamento della Germania, voluto anche dallo stesso Churchill, e fiancheggiata dalla unità imperiale britannica, glorificata dallo stesso Churchill, non è altro che l’invito ai paesi dell’Europa di prestarsi gentilmente a funzionare come cintura di protezione per le isole britanniche contro le bombe volanti e gli aeroplani che la minacciano dalla zona russa dell’Europa centrale.
La seconda guerra mondiale ha dimostrato che la Francia e i Paesi Bassi non sono più sufficientemente estesi per funzionare come fascia protettrice delle isole britanniche. Perciò altri paesi europei sono convocati ad allargare questa fascia.

 

La bomba atomica non è ancora stata presa in considerazione dai tecnici militari inglesi. Essi, come i tecnici militari di tutti i paesi, preparano sempre una replica della guerra precedente. Nella seconda guerra mondiale la bomba atomica non è stata sperimentata sull’Inghilterra. Churchill aspetta le esperienze della terza guerra mondiale per inserire questo elemento nuovo nei suoi calcoli. Allora, probabilmente, arriverà all’idea della unità mondiale, lasciando sempre compatta, al centro dell’unità mondiale, l’unità anglo-americana.
E’ da augurare che i federalisti europei non sappiano che farsene di questa unità, e lo dicano senza circonlocuzioni nei loro convegni agli amici britannici. Una Europa federata, neutrale e risoluta a difendere la propria neutralità contro chiunque, fornirebbe alle isole britanniche una fascia di protezione assai più utile e più efficace che un’Europa – non importa se federata o atomizzata – che fosse trascinata dal blocco anglo-americano nelle sue competizioni col blocco sovietico. Inoltre, una Europa federata, da cui fosse esclusa una Germania risanata, sarebbe come il dramma di Amleto rappresentato senza Amleto.
Questo dovrebbero i federalisti europei far comprendere ai loro amici in Inghilterra – un paese senza dubbio abitato dagli animali meno irragionevoli della terra, anche se un po’ lenti a capire le novità.
Come controaltare alla unità europea di Churchill, ci si offre la unità europea di Stalin. La Russia sovietica, dopo essersi circondata con una larga zona di protezione mediante i territori dell’Europa baltica, centrale e balcanica, che sono stati inclusi nella sua sfera di influenza, trova che quella zona non è ancora larga abbastanza, e cerca di estenderla verso l’Atlantico e il Mediterraneo. Le zone di sicurezza sono come la lupa dantesca: dopo il pasto hanno più fame di prima.

 

Allo scopo di preparare ulteriori espansioni alla propria zona di protezione, la massa compatta del territorio sovietico e dei territori già ad esso aggregati emette verso i territori periferici le sue propaggini sotto la forma di partiti comunisti. E questi, ciascuno nel proprio paese, agitano la bandiera dell’indipendenza nazionale, dell’onore nazionale, della sovranità nazionale. Beninteso che quella bandiera viene riposta in soffitta non appena è necessario favorire la espansione del sistema sovietico. Chi lo avrebbe detto a Carlo Marx che il suo internazionalismo avrebbe figliato un figlio illegittimo di questo genere!

(7. segue)

 I problemi politici dell’unificazione europea

di Gaetano Salvemini


(seconda parte)


In una Europa atomizzata, la Russia sovietica sarebbe il proverbiale vaso di ferro, che viaggerebbe insieme ai vasi di creta. E nella terza guerra mondiale – che tutti prevedono e che quindi tutti preparano – quella insalata russa di sovranissimi pigmei potrebbe essere deglutita dal colosso terrestre vicino più rapidamente che dal colosso acquatico meno immediato, e le operazioni militari – cioè le distruzioni militari – si svilupperebbero ancora più lontane dal nucleo centrale del Popolo Eletto slavo.
Al sistema sovietico, presente e futuro, i comunisti dànno il nome di “Federazione delle Repubbliche Sovietiche”. Ma chi vuole veder chiaro deve rendersi conto del fatto che questa federazione non ha nulla a che vedere né con la federazione svizzera, né con la federazione degli Stati Uniti d’America, né con la federazione che gli europei dovrebbero volere per il loro continente.
Nella federazione svizzera e americana i cittadini costruiscono, con l’uso delle libertà personali e politiche, non solamente i governi degli Stati locali, ma anche il governo federale, e con l’uso di quelle libertà li possono periodicamente rinnovare. Che quelle libertà personali e politiche siano maneggiate con tutta l’intelligenza e integrità morale desiderabile, sarebbe ridicolo affermare. Ma per quanto usate da molti in maniera sbilenca, e spesso dissennata, chi sa ne fa buon uso, e prima o poi esse producono qualche non disprezzabile resultato.

 

Chi vuole dare il nome di “federazione” a un sistema, in cui le libertà personali e politiche non esistono, o tutt’al più sono promesse per un imprecisabile futuro, ha il diritto di farlo (almeno in quei paesi in cui quelle libertà esistono per quanto in forma sbilenca). Ma allora deve rimanere bene inteso che la parola copre due federazioni diverse e incompatibili: una federazione totalitaria e una federazione democratica.
Può darsi che la religione totalitaria sovietica sia destinata a prevalere sull’empirismo di noi altri democratici tapinelli, sopravvissuti al secolo XIX, massi erratici abbandonati nel piano di un ghiacciaio che si ritira sulle alte montagne. Ma quale che sia per essere il nostro destino, non dobbiamo lasciarci abbindolare da equivoci ideologici e verbali.
Perciò sarà bene che si metta fine a certi congressi internazionali in cui i federalisti democratici così detti progressivi si associano a noi democratici, diciamo così ritardatari, e magari regressivi, e votano insieme con noi all’unanimità dichiarazioni stratosferiche destinate ad imbrogliare il prossimo cominciando da noi stessi.
La federazione europea deve nascere per la pace, e non per fare la guerra in Europa. Essa non deve servire come zona di sicurezza né al sistema sovietico, né al sistema anglo-americano. Deve essere neutrale fra l’uno e l’altro sistema, come è la Svizzera, nel cuore dell’Europa smembrata d’oggi. Questa federazione europea dovrebbe associarsi con un sistema intercontinentale sovietico-anglo-americano, solamente quando i due colossi extraeuropei fossero diventati altrettanto ragionevoli, quanto dovrebbero diventare – ma non lo sono – i pigmei europei. Frattanto, associarsi all’uno o all’altro sistema, significherebbe farsi massacrare a servizio dell’uno o dell’altro sistema.

 

Su parecchi altri punti i federalisti europei dovrebbero chiarire le loro idee prima nelle loro teste, e poi nei loro congressi. La ristrettezza del tempo non mi consente di esaminarli tutti. Ma su di uno è doveroso, per chi parla in Italia, non sfuggire alla responsabilità di esprimere un esplicito pensiero.L’Italia è ridotta in tali condizioni di penuria economica da non poter fare a meno dei soccorsi americani. Ciò posto, che cosa possono fare in Italia i federalisti europei? Se Stalin potesse mandare qui a Roma un solo vagone di grano o un solo vagone di carbone – e lo manderebbe se potesse, chi sa come imbandierato e al suono di chi sa quali fanfare – la risposta potrebbe essere dubbia. Ma la situazione economica della Russia è quello che è. E nessuno può consigliare il popoli italiano a rifiutare il piano Marshall senza offrirgli nessun surrogato. Vi sono necessità contro cui non giova dar di cozzo.
Solamente c’è modo e modo di adattarsi alle necessità. E il modo con cui molti uomini politici, di tutti i partiti italiani, hanno sollecitato gli interventi occidentali dall’estate del 1943 in qua, non sempre è stato così dignitoso come sarebbe stato desiderabile. Un po’ meno di servilità non avrebbe fatto male a nessuno, neanche a inglesi e americani.
Dopo tutti gli interventi economici americani in Italia non sono motivati solamente dalla generosità di quel popolo – la quale esiste, ed è grande, checché ne novelli chi non lo conosce – ma si può darle qualsiasi direzione per mezzo di “propagande” appropriate. Gli interventi sono motivati anche da preoccupazioni di politica estera ed interna americana, sulla cui saggezza si possono avere parecchi dubbi, ma della cui esistenza non è possibile dubitare. Un collasso economico della Europa non ancora sovietizzata – e specialmente dell’Italia – minaccerebbe tutta la politica europea del sistema anglo-americano e metterebbe gli Stati Uniti davanti ad un bivio; o ritirarsi dall’Europa del tutto, o ricorrere a interventi più drastici, analoghi a quelli che sono avvenuti in Grecia. Entrambe le eventualità provocherebbero negli Stati Uniti contraccolpi assai dannosi al partito che ne sarebbe ritenuto responsabile. In altre parole, il cosiddetto pericolo comunista in Europea preoccupa il governo americano anche in funzione elettorale americana.
Perciò è lecita agli uomini politici italiani una notevole larghezza di movimenti a cui bisognerebbe non abdicare. Messi innanzi al piano Marshall, i federalisti europei in Italia dovrebbero, a mio parere, proporsi due obiettivi: primo, insistere che il Governo italiano non assuma impegni prematuri e non necessari di politica internazionale, per ottenere soccorsi economici che sono determinati anche da un interesse di chi li dà, e non sono largiti per i soli begli occhi delle donne italiane; e, secondo, insistere che il governo italiano si elevi al di sopra degli angusti egoismi parrocchiali degli altri concorrenti, sostenga nei consessi internazionali europei la necessità di metter fine alla gara dei troppi e troppo bisognosi che cercano ciascuno di tirare a sé quanto più può d’una coperta insufficiente per tutti, e sappia insistere su un piano organico europeo, grazie al quale i soccorsi americani non vengano sperperati in elemosine in coordinate e sterili di risultati permanenti, ma servano realmente a preparare l’unificazione politica dell’Europa.
Qui sorge un altro problema, l’ultimo a cui spero mi consentiate di accennare. Che fare nel caso che i due colossi sovrani precipitino sé stessi e l’Europa in un nuovo e maggiore disastro? La risposta più ragionevole sembra a me questa: che nelle condizioni di impotenza militare in cui gli italiani sono stati ridotti dall’uomo della Provvidenza che aveva sempre ragione, essi, non essendo in grado né di provocare, né di evitare la guerra, non dovrebbero tormentarsi con problemi sulla cui soluzione non hanno alcun controllo e nessuna responsabilità.
Se non fossero disarmati – e se fossero ragionevoli – essi userebbero le loro armi per garantire la propria neutralità, come fa la Svizzera. Non potendo far questo farebbero bene ad imitare la Danimarca, cioè a volere la neutralità disarmata. Lascino agli altri di commettere le loro follie e badino ai fatti propri, come se nessun pericolo li minacciasse. Il contadino italiano pianta la vite senza domandarsi se domani un carro armato verrà a calpestarla. Il muratore che si ricostruisce la casa non si lascia arrestare all’dea che un bombardamento aereo domani forse la distruggerà. Purtroppo non si può aspettare che gli italiani siano il solo popolo ragionevole di questo mondo. Essi si stanno dividendo fra occidentali e orientali, invocando nel loro paese - sia dall’occidente, sia dall’oriente – la tempesta che non lascerà in piedi più nulla della loro millenaria civiltà.

 

I federalisti europei, in Italia, non devono lasciarsi travolgere dalla follia né degli uni, né degli altri, finché non sorga un sistema federale europeo, unica garanzia di salvezza per questo continente disgraziato.
Bisogna ripetere queste parole d’ordine anche di fronte alla cosiddetta organizzazione delle Nazioni Unite, o, come si suol dire, U.N.O. Questa organizzazione è semplicemente la vecchia Società delle Nazioni,la quale si è liberata dell’impegno di opporre le forze di tutte le nazioni associate a chi si renda colpevole di aggressione. I governi associati nella U.N.O. non fanno più questa promessa che nella Società delle Nazioni fecero e non mantennero. Il diritto di veto codificato nello statuto della U.N.O. non è se non il principio della unanimità, che si trovava nello statuto della Società delle Nazioni. Diritto di veto e principio d’unanimità sono la stessa cosa; sono la conseguenza logica inevitabile del diritto di sovranità illimitato.
La U.N.O. altro non è che una conferenza permanente di ambasciatori, i quali non possono nulla decidere senza il permesso dei governi di cui sono i delegati. E questi governi – o per essere più esatti, i governi dei colossi che soli hanno il coltello per il manico – possono mettere il veto su ogni decisione della U.N.O., ma si riservano, senza limitazione alcuna, il diritto di fare la guerra, essendo questo diritto di guerra l’attributo supremo della sacrosanta sovranità. Credere che la U.N.O. possa eliminare la guerra dal mondo è illusione infantile. L’Europa martorizzata deve cercare la pace in se stessa, e non aspettarla da istituzioni universali.
Sospetto che le mie parole non lasceranno in voi una impressione di eccessivo ottimismo sulla possibilità di una federazione europea. Sospettando più d’uno fra voi, mentre io parlavo, si sia domandato se i federalisti europei – cioè noi, che intendiamo non lasciarci travolgere dalla universale barbarie, e ci sentiamo europei, oltre che francesi, italiani, tedeschi, e vorremmo che l’Europa formasse una più grande Svizzera, ai cui abitanti fosse vietato il reciproco assassinio – non dovessero considerarsi senz’altro sconfitti ed abbandonare la battaglia.
Per conto mio, non mi dichiaro sconfitto, e spero e auguro che molti fra voi non si dichiareranno tali. Chi ha la testa dura non si sente mai sconfitto. Dopo aver perduto una battaglia, si ripiega su posizioni più arretrate e si ricomincia. L’avvenire è in larga misura imprevedibile. L’unità politica d’Italia, che per tutti i benpensanti era impossibile nel 1849, diventò una necessità nel 1860. Dopo tutto, la federazione svizzera è formata non da gente caduta dal cielo, ma da frammenti di popoli europei, di tutti quei popoli europei che intorno alla Svizzera hanno sempre nella storia fatto sfoggio delle più criminose follìe. Non si trova scritta, né in cielo, né in terra, nessuna legge che condanni quei popoli, intorno alla Svizzera, alla follìa e al delitto in permanenza.
Come dicono i credenti, le vie della Provvidenza sono infinite. Nessuno sa quali congiunture possano rendere possibile domani quel che sembra irrealizzabile oggi. Non farsi illusioni è necessario. Ma chiudere le porte ad ogni altra possibilità sarebbe follìa. Senza vivere con la testa nelle nuvole di un futuro imprecisabile, bisogna tenersi preparati a qualunque congiuntura per inserire la propria volontà nel groviglio degli eventi, affinché la resultante delle forze, cioè la congiuntura, riesca più vicina che sia possibile al proprio ideale.
Il nostro ideale fu annunziato all’Italia da Carlo Cattaneo nel 1848. Dopo che le rivoluzioni di Milano, di Vienna e di Budapest erano state domate dalle truppe di Casa d’Austria, Cattaneo, notando che l’ungaro aveva voluto esser libero, ma oppressore dello slavo e del rumeno, il viennese aveva voluto esser libero, ma opprimere lo slavo e l’ungaro e l’italiano, aggiunse: “Solo nell’eguaglianza della sventura e nelle necessità della guerra, potevano quei vanitosi popoli intendere che senza fratellanza non è libertà, che è meglio esser fratelli liberi che servi iracondi. Ogni popolo deve comperare la libertà nel sacrificio d’una barbarica ambizione. Non si dominano le genti straniere senza mole d’eserciti, né senza arroganza di generali, che poi colle braccia dei vinti opprimono i vincitori… L’Oceanoè agitato e vorticoso e le correnti vanno in due capi: o l’autocrata o gli Stati Uniti d’Europa”.


Questo il bivio indicato da Cattaneo. Se gli italiani d’oggi intendono dar congedo all’autocrata, non rimangono loro che gli Stati Uniti d’Europa.

(8. segue)

 Appendice: breve notizia sul Movimento Federalista Europeo in Italia

 La propaganda per l’unificazione dell’Europa è cominciata in Italia durante la guerra, col manifesto-programma del Movimento Federalista Europeo (M.F.E.), lanciato nel giugno del 1941 da un gruppo di antifascisti appartenenti a partiti ed a tendenze politiche diverse, che, dopo aver scontato molti anni di prigionia, si trovavano allora nell’isola di Ventotene.
Il manifesto non potè avere grande diffusione durante il regime fascista. Diede però luogo a discussioni, a polemiche e a studi, e, dopo il colpo di Stato che liberò gli antifascisti dal carcere e dai confini, venne stampato in un opuscolo nell’agosto del 1943 e poi ristampato clandestinamente con una prefazione di Eugenio Colorni, insieme a due studi di Altiero Spinelli, durante l’occupazione tedesca di Roma, nel gennaio del 1944, in un libro: Problemi della Federazione Europea.
Nel maggio del 1943 venne diffuso a Roma il primo numero del giornale del M.F.E.: “L’Unità Europea” che, dopo otto numeri clandestini (di cui cinque usciti durante l’occupazione tedesca dell’Alta Italia), dalla liberazione in poi ha continuato le sue pubblicazioni legalmente, prima a Milano, poi a Torino. Durante il breve intervallo di semilibertà, corrispondente al primo ministero Badoglio, i federalisti delle diverse regioni d’Italia si riunirono in un primo convegno a Milano, alla fine di agosto del 1943.
Questo congresso – al quale parteciparono anche Eugenio Colorni, Leone Ginzburg, Guglielmo Jervis, assassinati poi dai nazi-fascisti come capi della Resistenza – approvò sei tesi politiche ed una mozione, con la quale vennero segnate le direttive generali per la propaganda. La terza di queste tesi dice:
“Militarismo, dispotismo, guerra, possono essere eliminati solamente creando una Federazione europea, alla quale siano trasferiti quei poteri sovrani concernenti gli interessi comuni di tutti gli europei che in mano agli stati nazionali sono oggi strumenti di rovina. Armamenti, libertà dei traffici internazionali, moneta, delimitazione delle frontiere nazionali, amministrazione dei territori coloniali ancora incapaci di governarsi da sé, intervento contro eventuali tentativi di rinascita di regimi autoritari, in poche parole: l’amministrazione della pace e della libertà su tutto il territorio europeo, deve essere riservata ai poteri esecutivi, legislativi e giudiziari della Federazione europea. Nell’ambito in cui vige la sovranità territoriale, gli abitanti dei vari Stati devono possedere la cittadinanza europea, cioè debbono avere il diritto di scegliere e controllare i governanti federali ed essere sottoposti direttamente alle leggi federali”.
La mozione politica, premesso che “un atteggiamento federalista esclude qualsiasi forma di totalitarismo ed esclude pure le forme di unità egemoniche solo apparentemente federaliste, ma in realtà poste sotto il ferreo controllo di organismi totalitari”, precisa l’atteggiamento del M.F.E. nei riguardi delle diverse correnti politiche, affermando che esso “si trova d’accordo con tutte le forze e le tendenze progressiste che si rivelino favorevoli alla creazione della federazione europea, da quelle comuniste a quelle strettamente liberali, e non si pronuncia astrattamente per una federazione in cui sia stabilita a priori la dose di collettivismo, di capitalismo, di democrazia e di autorità ammissibili. La struttura federalista costituisce la condizione necessaria per lo sviluppo di una vita politica libera: solo in funzione di una tale soluzione i particolari problemi che si presentano nell’ambito di ciascun paese possono essere risolti in modo da trarre profitto di tutte le forze che concorrono all’affermazione dei valori essenziali della nostra civiltà”.
Si deve specialmente alla propaganda del M.F.E. se, al momento della ricostruzione dei partiti politici, dopo la caduta del regime fascista, l’esigenza dell’unificazione federale fu iscritta come uno dei punti essenziali in quasi tutti i loro programmi.
Durante il 1944, alcuni dirigenti del M.F.E. continuarono la propaganda federalista in Svizzera fra gli italiani rifugiati nell’ospitale Confederazione e fra gli altri stranieri che dalla Svizzera mandavano informazioni nei loro paesi e mantenevano i collegamenti fra i movimenti di Resistenza delle diverse parti dell’Europa. Oltre a pubblicare in italiano quattro opuscoli nelle “Nuove edizioni di Capolago” (1: Gli Stati Uniti d’Europa, di Storno (Ernesto Rossi). – 2: I problemi economici della federazione europea, di Junius (Luigi Einaudi). – 3: Confederazione mondiale e Federazione delle democrazie (rapporto della Federal Union). – 4: Socialismo e Federazione (di Barbara Woolton), e undici quaderni in cui venivano esaminati i principali aspetti dell’unificazione dell’Europa, furono riunite in un libro: L’Europe de demain (ed. La Baconnière, Neuchatel, 1944) le principali voci federaliste delle Resistenze ed alcuni dei più importanti documenti che potevano servire allo studio dei problemi della federazione europea. In questo libro è pubblicato anche il “progetto di dichiarazione federalista della Resistenza europea” che, elaborato per iniziativa dei federalisti italiani in una serie di riunioni tenute a Ginevra, dal marzo al giugno del 1944, da rappresentanti della Cecoslovacchia, Danimarca, Francia, Italia, Sorveglia, Olanda e Polonia, fu poi inviato per l’approvazione ai movimenti di Resistenza di questi nove paesi. Da tale documento derivò poi il progetto di programma per la politica estera del Movimento di Liberazione Nazionale (M.L.N.), affisso sui muri nella Francia meridionale subito dopo la liberazione, e riportato pure nell’Europe de demain.
Il progetto di dichiarazione federalista elaborato a Ginevra riconosceva la necessità di una partecipazione attiva delle Nazioni Unite alla soluzione del problema europeo, ma chiedeva che tutte le misure che sarebbero state necessarie nel periodo fra la cessione delle ostilità e la firma della pace, fossero prese in funzione delle esigenze della organizzazione federale dell’Europa.
Purtroppo questa aspirazione non è stata in alcun modo soddisfatta dalle Nazioni Unite, che, una volta vinta la guerra, hanno fatto una politica estera guidata solo dall’odio, dalla paura e dalla volontà di potenza.
Questa politica, costringendo i diversi popoli del continente a restringere l’orizzonte della loro visuale entro i limiti delle frontiere nazionali, ha reso sempre più devole la voce dei federalisti, che si sono divisi , prendendo anch’essi posizione negli schieramenti politici, in funzione delle soluzioni immediate che desideravano dare ai tragici, più impellenti problemi di carattere interno: repubblica o monarchia; liberalismo o pianificazione; riforma costituzionale; riforma agraria; politica sindacale, ecc.
La propaganda delle idee federaliste, persa la concretezza di ogni riferimento alla particolare situazione internazionale del momento, per un paio d’anni non ha esercitato più quasi alcuna attrattiva sugli uomini politici che soli possono tradurle in effettiva realtà. Il M.F.E. ha reagito contro questa situazione particolarmente sfavorevole, mantenendo i contatti con le organizzazioni federaliste straniere e interessando alle sue iniziative strati sempre più vasti della popolazione italiana.
Nel gennaio 1946 fu tenuto un Convegno al M.F.E. che si occupò dei problemi organizzativi e di definizione della dottrina federalista. Nell’ottobre dello stesso anno il Primo Congresso Nazionale di Venezia approvò lo statuto del Movimento.


Dopo l’appello lanciato nel giugno 1947 dal Ministro degli Esteri Marshall per l’unificazione economica dell’Europa, quale premessa necessaria al finanziamento della sua ricostruzione, c’è stata una ripresa di iniziative federaliste, si sono costituiti in diversi parlamenti dei gruppi di deputati federalisti, si sono convocati dei congressi internazionali per l’unificazione federale dell’Europa. I più importanti fra questi congressi sono stati quello di Montreux, organizzato dall’Unione Europea dei Federalisti (U.E.F.) – di cui il M.F.E. fa parte – alla fine dell’agosto 1947, e quello di Gstaad, sempre in Svizzera, organizzato ai primi del mese successivo dall’Unione Parlamentare Europea. Il primo ha approvato lo statuto dell’U.E.F., che tiene i collegamenti fra i movimenti federalisti di tutti i paesi europei, mentre il secondo ha gettato le basi per la convocazione di un parlamento, al quale dovrebbero intervenire i rappresentanti delle Camere legislative dei paesi che intendessero unirsi con vincoli federali.

(9. fine)

 

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