"Laicismo e clericalismo, un vizio eurocentrico", Angiolo Bandinelli

Ho più volte espresso il mio dissenso nei confronti delle posizioni culturali e politiche di stampo laicista, e per questa mia avversione ho avuto rimbrotti e diffidenze anche da parte di amici e sodali. Credo che le mie considerazioni non siano state capite e siano state anche stravolte o travisate. Molti di quelli che mi criticano pensano che io detesti il laicismo e i laicisti per una sorta di snobismo intellettuale o, per converso, in quanto un pò troppo remissivo dinanzi alle pretese o alle posizioni clericali e vaticane che, notoriamente, puntano sull’isolamento e la demonizzazione del laicismo. Nulla di tutto questo, ribatto io, le mie considerazioni hanno un fondamento storico che credo serio e ineludibile.

Sono infatti convinto (ma non sono il solo) che l’anticlericalismo di stampo laicista sia nato nel quadro del grande movimento di costruzione dello stato nazionale, più o meno nel corso della
seconda metà dell’Ottocento e con epicentro teorico nella Francia di Jules Ferry e di Emile Combes. Lo stato nazionale di modello francese obbediva a una logica che è condensata nel motto "Une et indivisible". Una e indivisibile, la Francia, senza divisioni o fratture interne, di nessun genere. Quella logica era l’evoluzione e la conclusione di un processo storico che inizia con Filippo il Bello - forse anche prima – e di cui conosciamo, nei secoli, numerosi momenti e passaggi.

Unità etnicolinguistica (e dunque, con Ferry, lotta ai dialetti) e di diritto (e quindi messa al bando di ogni privilegio o presenza sul territorio nazionale di altri poteri e sovranità, anche di area religiosa). Questo modello statuale –nel quale lo stato è anche supremo normatore etico - venne largamente esportato o trovò più di una eco e omologia: lo ricalcò l’Italia massonicopositivista ma anche, per dire, il Messico della rivoluzione (1910). Fuori dell’area cattolica, spinte e sollecitazioni laiciste coeve hanno operato nella Turchia di Kemal Ataturk come nella Russia di Lenín, ecc. Anche nel lontano oriente incontriamo fenomeni non dissimili e quasi contemporanei: in Iraq, il movimento baathista di Saddam Hussein ebbe una cultura fondante di tipo laicista, ecc, Riesumo queste osservazioni, sollecitato dalla lettura di un articolo di Giancarlo Zizola apparso recentemente su “Repubblica”. Zizola non è un laicista, ma un laico attento alle problematiche religiose. Nell’articolo analizza i primi cinque anni del pontificato di Benedetto XVI, che lui riassume nella "formula" dì una "politica di riassetto del centralismo istituzionale dopo il nomadismo carismatico dei papa polacco", ovviamente Wojtyla. Questa politica, a carattere dichiaratamente programmatico, ha suscitato nel mondo cattolico - avverte Zizola - reazioni di vario tipo: anche vere e proprie "tempeste". Per quel che interessa il mio ragionamento, Zizola osserva come la spinta "centripeta" ratzingeriana, nello sforzo di ricostruire le "élite cristiane" salvandole dalla "frana" che le minaccia, "si lascia comprimere troppo strettamente nel solco di una tradizione eurocentrica in cui l’elemento storico assume abusivamente... un valore assoluto". Mi ha colpito il riferimento a una tradizione e cultura "eurocentrica" che condiziona, anzi plasma, il discorso dell’attuale pontificato. Questo eurocentrismo è l’interfaccia – diciamo così – dell’eurocentrismo culturale nel cui stampo la Francia ha plasmato il suo ottocentesco laicismo progressista.

Una strada esausta La tradizione laicista ha influenzato in modo irreversibile la nascita e il
formarsi delle nazioni sorte verso la fine dell’Ottocento. In parte, essa si fa sentire anche nel processo formativo delle nuove nazioni che spuntano come funghi ai nostri giorni. Figurarsi se posso pretendere di modificare il trend. Ma, da federalista convinto, ritengo sia una strada consumata fin nelle sue radici, esausta. E ugualmente sono scettico rispetto al tentativo della cattolicità di modellare su di sé, sulla sua cultura e sul suo linguaggio, così "eurocentrici", le
eterogenee spinte che si intrecciano nel mondo di oggi e si proiettano in quello di domani. Più credibile, perché duttile e, leggero, è invece il modello realizzato nei secoli nel mondo anglosassone, specialmente negli Stati Uniti. Spesso, il mondo cattolico guarda a quel modello e lo indica all`Europa perché lo imiti. Dimentica però che il modello (federalista) della religiosità americana non prevede Concordati né accordi di nessun genere con uno stato-chiesa. Lo si può imitare, e si può pensare al superamento della cultura statuale e laicista degli stati-nazione di modello francese, solo se si rinuncia ai privilegi di una tradizione identitaria consunta e inservibile, proiettando il baricentro dell’iniziativa fuori e "oltre" l’Europa. E’ la grande sfida politico/culturale alla quale né la laicità né la religiosità possono sottrarsi, pena la sconfitta.

* da “Il Foglio”, notizieradicali, 29-IV-10