Comitato dei radicali, 13 luglio 2001

INTERVENTO EMMA BONINO AL COMITATO DEI RADICALI - ROMA, 13 LUGLIO 2001

Noi siamo all'aggiornamento di un comitato che ha iniziato un mese fa, che ha avuto un dibattito politico immediatamente dopo il risultato elettorale e che si è aggiornato e ha lavorato per un mese con scritti, documenti, contributi di tutti o di molti, per cercare di arrivare ad un dibattito sulle proposte, sul che fare in Italia, se ha ancora senso o non ha senso esserci e, soprattutto, come organizzarci per fare. Essendo noi convinti che non esiste alcuna idea se poi non ha gambe organizzative adeguate a quell'idea o a quell'obiettivo. E quindi siamo aggiornati da una parte con una proposta organizzativa e fase transitoria che è stata illustrata da Marco Cappato per arrivare ad una fase più deliberante, ad un congresso vero dei Radicali italiani entro luglio del 2002 -proposta organizzativa che ha, da qui a luglio del 2002 tutta questa fase evidentemente transitoria di preparazione- e, secondo elemento, questa nuova struttura così come si delineerà alla fine di questi tre giorni di lavoro, dovendo avere -spero- anche una mozione politica, dovrà delineare non gli obiettivi puntuali, ma , certamente campi di azione o di riflessione collettiva. Per questo, mi ha abbastanza stupito l'intervento e la richiesta di Giovanni Cominelli ieri sera, perché o intendeva dire che la relazione di Marco Cappato (che ha illustrato questa ipotesi di percorso, con una nuova fase organizzativa) mancava di un'analisi o comunque di un giudizio sui primi giorni del governo Berlusconi e sul travaglio che sta attraversando la sinistra o i Diesse o chi per esso, o altrimenti non capisco bene a che cosa si riferisca, perché il dibattito sul bipolarismo imperfetto ma in via di perfezionamento o sul bipolarismo caricaturale come affossatore di un bipartitismo all'anglosassone è stato -come dire- avviato nel seminario scorso, con una posizione di una parte della direzione che si è espressa in un modo molto chiaro. Ma certamente nulla preclude che questo tipo di dibattito oggi - se qualcuno vuole- possa ancora esserci. Però il problema, da questo punto di vista, è vero che non riesco ad appassionarmi molto sulla cronaca giornaliera del territorio italiano. Confesso che non riesco ad appassionarmi sulla questione se il "buco" doveva essere detto in televisione oppure in Parlamento, né mi appassionano altre formule o altri dibattiti che durano lo spazio d'un giorno e poi si perdono; e si perdono perché probabilmente hanno trovato altri luoghi di possibile soluzione, non proprio chiari e non proprio espliciti. Ad esempio: mi pare che, per mesi, qualcuno, anche se un po' troppo in ritardo, ha posto la questione del conflitto d'interessi come il punto centrale di credibilità di qualunque maggioranza o della maggioranza vincente. Da qualche settimana ho capito bene che non è più un'urgenza per chi l'ha chiesta in ritardo e ne ha fatto, peraltro, se capisco bene, il punto della campagna elettorale. Improvvisamente trovo che non è più urgente. Berlusconi ha detto o ha fatto sapere che ha bisogno di tempo e il tutto è stato accolto senza grossi problemi. Ma forse, dall'altra parte, si è avuto uno scambio di non urgenze: la nuova maggioranza non ha urgenza di affrontare il problema Rai né in un nuovo Consiglio d'amministrazione, né riparlando o attuando forme rapide di privatizzazione. Non che questo sia un accordo firmato dal notaio, di "do ut des", però ho l'impressione che si stiano trovando, in questo come in altri settori, formule di compensazione, di scambi. Niente di nuovo, per carità: ma appunto questo, mi pare, dovremmo sottolineare. Ed è certamente presto, per me (poi, per carità, chi è in grado di dare un giudizio su questi primi giorni della nuova maggioranza oltre che guardarne la fotografia, ben venga…) riuscire a dare un giudizio sulle attività di governo così come si sono venute sviluppando: un giudizio nuovo -voglio dire- rispetto a quanto ci siamo detti non più di un mese fa. Io insisto a dire, diversamente da altri che invece mi raccontano che questo bipolarismo sostanziale che ha permeato la società e che quindi…io continuo a ritenere e anzi, più lo guardo mi sembra un dato di caricatura del bipartitismo all'anglosassone come noi lo prefiguriamo e come continuiamo a ritenere che sia indispensabile per questo paese, e proprio per questo non è affatto un passo in avanti...anzi, se lo posso vedere il più positivo possibile che è rimasto così incasinato com'era prima, in una situazione di gestione partitocratica del potere, della vita economica e sociale di questo paese, esattamente come prima...e, anzi, mi preoccupa semmai che venga visto come un fatto nuovo, positivo, un passo in avanti, ancorché non perfetto ma perfettibile. Io non ne do' questa lettura: anzi, ne do' la lettura opposta, perché penso sempre che, soprattutto quando questo è l'evoluzione sostanziale ma non di legge, non fissata a livello istituzionale o di regole scritte, queste cose le trovo sempre preoccupanti. Sicché trovo prudente e anche adeguato, per esempio, che nella proposta di Marco Cappato che i Radicali italiani, che si danno questa forma organizzativa per cercare di continuare con il progetto e gli obiettivi che si erano dati e che hanno incontrato una sconfitta elettorale ma non una sconfitta politica, possono affrontare i prossimi mesi, ma, prudentemente anche dandosi la scadenza più o meno definitiva nella loro forma organizzativa ad un congresso che è previsto entro l'anno. Lo definisco prudente perché quasi nessuno -e i radicali tanto meno- è l'unico protagonista che vive in una specie di torre d'avorio e che, quindi, a tavolino, senza vedere cosa succede attorno, pensa e decide cosa vuole fare. Questo anno di attività, in questa formula organizzativa per arrivare al congresso, a me sembra una soluzione che da una parte pone alcune chiarezze, ma è anche prudente per vedere cosa evolve sia nell'ambito radicale o della politica o dei temi radicali, sia in ambito altrui, nei prossimi mesi. Nell'intervento al comitato scorso, la domanda cui avevo cercato di rispondere e che mi ero posta, era: abbiamo in questi due anni, in questo ultimo anno, dissipato o seminato? E la mia risposta, la mia valutazione, è che, pur a costi altissimi, politici e personali, io credo che abbiamo soprattutto seminato. E continuo ad essere convinta di questo. Non vi nascondo che i costi che tutto questo ha richiesto, ma sono convinta che abbiamo seminato. Di tutti gli interventi che ho letto nel "Forum", quello che mi ha colpita di più e che mi era sfuggito (me l'ha segnalato Rita), quello che mi è sembrato più lucido e che mi ha aiutata molto, è quello di Irene Abgai. Credo che Irene faccia un'analisi molto giusta del "chi siamo" e cosa vogliamo, del chi siamo stati e, quindi, a meno di tradimenti o sconfessioni del nostro essere, quello che saremo: mi sembra difficile che un partito che, da trent'anni, in accelerazione negli ultimi è riuscito ad avere dei progetti e delle convinzioni poi tradotti in progetti liberali, liberisti e libertari, per una sconfitta elettorale si svegli una bella mattina e decida di essere cosa, statalista in economia?, meno libertario?, questo mi sembra fuori dalle possibilità. Sicché ho l'impressione che quel dibattito che forse tra noi esiste e che sarebbe bene venisse fuori, non è tanto il chi siamo, che cosa vogliamo o per che cosa ci battiamo, ma forse esistono opinioni diverse dal punto di vista tattico. Ma non mi pare sul fondo. Se ci sono sarebbe bene venissero fuori. Irene diceva e dice in questo articolo, in questo scritto che ha sottoposto alla nostra attenzione, una cosa importante. Dice: noi crediamo e vogliamo soprattutto permeare culturalmente una società, in una permeazione di idee che poi danno frutti in altri tempi, e non in tempi elettorali. E quando danno frutti siamo disponibili a pagare il prezzo che non ci siano neanche più attribuiti, che abbiano altri padri e altri madri. O correre perfino il rischio che questi frutti vengano fuori bitorzoluti, non esattamente come li avevamo proposti. E' questo nella situazione italiana, ed io oserei dire anche internazionale, il senso e l'essere radicale. Al prezzo di, evidentemente, sconfitte politiche perché è la situazione, ma anche perché a volte le idee, i temi, non riusciamo né a esporli né a dirli, o magari perché non sono ancora maturi. Lo consiglio… a me ha molto aiutato per riprendere un certo discorso che forse, nell'ansia del fare, dell'esserci, per raggiungere le scadenze che ci eravamo detti, come se uno dovesse sempre superare degli esami, forse avevo perso di vista. Angelo, intervenendo ieri, ha detto nella fase procedurale che avevamo nell'ordine del giorno, ma in fondo, in realtà questa ipotesi che ci è stata annunciata di un rilancio, rafforzamento della direzione del Prt, che si deve riunire e vedere come si rilancia nelle condizioni date nel 2001, il Prt nelle condizioni date anche finanziarie, eccetera, eccetera, e dall'altra parte il soggetto Italia, che anche lui alla fine di questi tre giorni deve darsi una forma e un'esistenza. Ma Angelo diceva che questi due piani si sono abbastanza sovrapposti, tanto è che contributi al dibattito, alcuni di loro perlomeno, hanno toccato soprattutto politica o temi transnazionali. Credo che Angelo, anzi lo ha detto, si riferisse soprattutto al mio intervento. Devo dire, Angelo, mi sono molto sorpresa, perché è vero che l'intervento, che io ho, come avete letto "pensierini in seme e libertà" , ho cercato di analizzare soprattutto il contesto internazionale, e non sono arrivata alla parte "e quindi in Italia…". Ma il senso di quei pensierini che ho scritto è proprio quello di dare persino delle indicazioni per quanto riguarda un lavoro politico in Italia, convinta come sono che appunto l'Italia non è altro che un aggeggio che anche lui vive in autarchia e non ha riferimenti, connessioni o collegati con quello che succede o col dibattito che c'è nel mondo intero. E Danilo, diceva ieri, nel suo intervento, "l'Italia o la classe politica italiana ha scoperto per ultima la globalizzazione", io non penso che sia così, o almeno non vedo proprio niente di questo nel dibattito politico italiano, penso che se proprio va bene la classe politica italiana ha scoperto piazza Ferrari a Genova, credo si chiami Ferrari. Non so. E i carrugi circostanti. Perché di tutto il bailamme che io sento, a parte lodevoli eccezioni, ma che appunto rimangono eccezioni, io non penso affatto che la classe politica italiana, e in generale quello che vedo scritto, stia per niente capendo, o riflettendo, o pensando a soluzioni possibili, o a comunque come governare quello che tutti chiamano globalizzazione. Perché poi esistono le mode, anni di società dell'informazione, non era più possibile manco scrivere un pezzo, un titolo e neanche andare al risptorante senza che anche il menù fosse scritto o si parlasse, giustamente ma sempre in ritardo.

Oggi pare che sia possibile fare un intervento, anche se si tratta di decidere se si sfonda la zona rossa o se non si sfonda , e chi regala le tute bianche al Papa, ma, insomma, la mia impressione, fuor di metafora, è che la classe politica italiana, al governo come all'opposizione, ben che vada, ha scoperto Piazza Ferrari e i carrugi circostanti, l'obbiettivo unico essendo comprensibile e assolutamente legittimo peraltro, ma non sul cuore del problema per l'Italia e per il resto del mondo, che non ci siano morti a Genova. Obiettivo legittimo, importante, ma che mi pare oggi veda un esprimersi pure su questi temi così importanti in pura chiave di problemi di sicurezza e di ordine pubblico.

Invece, da questo punto di vista, credo, al di là di essere impegnati e in qualche modo anche fragilizzati da una serie di avvenimenti, io credo invece che il nostro contributo alla riflessione, ma anche le azioni, le iniziative che già sono in corso di stampo radicale, di iniziativa radicale, di progetto radicale, di pensiero radicale, sono più che necessari e devo dire francamente non li sento fare quasi da nessuno, poco dalla parte di chi sta dal tavolo del G8; tutti paiono essere presi improvvisamente, chi sa perché, da chissà quali sensi di colpa improvvisi; e certo non li trovo nessuno da parte del cosiddetto popolo di Seattle di Genova, o di Roma, o di Bagnoli che sfila.

Perché voglio tornare su questo tipo di analisi e invece mi sento poco attratta a chiosare sulla devolution o la data del referendum federalista, o se Berlusconi è moderato o non è moderato; perché tutto questo mi sembra far molto più parte della cronaca, ma che lasci in sostanza le situazioni di fondo non mutate; mentre invece penso che riflettere un po' su un altro piano ci aiuti a capire meglio dove dobbiamo andare, anzi soprattutto il che fare. Io credo che il dove vogliamo andare non sia una novità e non sia nuovo. In questo momento, prendo la questione Genova come esempio di confusione mentale, di poca chiarezza, e mi sembra che nessuno tenga la bussola un pochino ferma, mi sembra che la classe politica italiana, nella preoccupazione di evitare incidenti troppo gravi, che ne danneggerebbero l'immagine internazionale, in una situazione in cui la nuova maggioranza ha ancora qualche problema di credibilità internazionale, ma gli scontri più gravi peraltro sono stati in un paese di governo di centro-sinistra, a Goteborg, di grande credibilità internazionale, ma capisco questo obiettivo. Però in questo tentativo di evitare scontri troppo accesi se ne sentono di tutti i colori: e c'è Ruggiero che risponde alla suora Cristina, premettendo, per altro di essere lui un buon cattolico; e si sono aperti dialoghi di tutti i tipi con chiunque; si scopre improvvisamente che i marciatori di ex Seattle, attuale Genova esprimono richieste giuste. Ma insomma questo tentativo di ambrasson nous, purchè non ci facciate scappare eccessivi incidenti e il morto, mi sembra che abbia toccato dei livelli intellettualmente inaccettabili; non sento più nessuno dire a questi signori marciatori cose più semplici, banali, ma che forse rimetterebbero in sesto alcune cose.

La globalizzazione, innanzitutto, non è un fatto nuovo, frutto di bieche multinazionali, capitalisti e quant'altro, non solo è un fatto antico come l'umanità, dalle crociate o dall'Impero romano, dall'Impero cinese a quello Assiro-babilonese, dal comunismo e la rivoluzione comunista in tutto il mondo e il cristianesimo e la buona novella in tutto il mondo, il tutto corredato da merci, scambi, affari e quant'altro. Ogni epoca storica ha avuto la sua globalizzazione, o il suo tentativo di globalizzazione, adeguata al livello tecnologico dell'epoca; per cui, se uno dovendo conquistare, partendo alla conquista dell'Asia per poi trovare l'America e certamente avendo le caravelle a vela ci metteva un po' di tempo, ma siccome uno va in concorde il tutto è più accelerato; questo è un fenomeno, un'esigenza vecchia come l'umanità; ed è chiaro che avendo però il nostro mondo, i nostri ultimi decenni avuto uno sviluppo tecnologico strabiliante e straordinario, anche questo fenomeno ha avuto avanzamenti di una velocità strabiliante e straordinaria; con due elementi nuovi: uno è quello dell'informazione, delle tecnologie, ma tornerò poi su questo, e l'altro è un fenomeno che è nuovo della nostra epoca, che necessita di alcune regole, anche se nessuno ancora ha ben capito quali, che è quello del movimento dei capitali e della volatilità e della virtualità sostanzialmente del mercato finanziario dei capitali. Questo è un elemento nuovo prodotto, appunto tra gli altri, del nuovo livello di sviluppo e di scoperta tecnologica in cui siamo. Così come sulla ricerca scientifica il genoma e quant'altro, anche lì, risultato di, anche lì la ricerca e le scoperte scientifiche sono elementi vecchi come l'umanità e come il mondo, ognuno ponendo poi problemi, ma ognuno adeguato al livello tecnologico del proprio tempo.

Pare che nessuno ha più la forza o il coraggio di dire che questa globalizzazione, anche dal punto di vista economico, e anche dal punto di vista dei "poveri" o ex poveri, in linea di massima ha avuto effetti ultra positivi. Io credo che ormai è diventata una specie di colpa per cui nessuno osa dire… con ovviamente passando dal macro al meso e al micro, una fotografia più variegata.

Però ha sacrosantamente ragione Ruggiero quando dice: nel '70, nel '75, solo il 5% delle nostre importazioni proveniva da paesi in via di sviluppo, nel 1990 siamo al 20%, nel 1995 siamo al 25% e il trend è in positivo. Ha sacrosantamente ragione quando dice i paesi più attivi, più vivaci proprio nelle esportazioni sono paesi del terzo mondo o dell'ex terzo mondo. Ha sacrosantamente ragione, però adesso bisogna dirlo sottovoce perché non fa tanto chic. Perché poi se uno lo dice, e lo dice con forza, ha anche la forza e la credibilità di dire che questa fotografia che pure è così positiva in linea di massima, ha delle zone completamente fuori, in questo la globalizzazione va governata, anche perché dire di no, io non capisco quale sia l'alternativa, immagino che nessuno voglia pensare all'autarchia, anche perché chi l'ha vissuta non è che ne è uscito proprio in modo eccezionale.

Però il problema è che qui cade l'asino rispetto sia ai governi che ai marciatori e alle democrazie e agli elettori, perché se noi vogliamo dire che esistono zone, buchi neri di questa globalizzazione, e tanto per prenderne uno direi che è il continente africano, che è quello che non parla globale, non riesce a parlare globale, per delle ragioni che sono storiche, economiche e di vario tipo. Però se noi questo vogliamo affrontare e allora cade l'asino, perché il problema non è quello di un po' di trasferimento di risorse, per quanto riguarda almeno questo continente, il problema è che noi non possiamo predicare a questo continente come ad altri delle politiche liberali, pretendendo da loro degli atteggiamenti e delle politiche liberali, ma essendo noi, quando ci conviene, e nei settori che ci convengono, totalmente proibizionisti e protezionisti.

C'è un esempio molto semplice: l'Africa, che è una delle regioni che mi preoccupa di più, ma non solo, mi occupa di più, non solo dal punto di vista politico, economico, ma devo dire dal punto di vista etico e dei poveri, intesi nel senso vero, e della responsabilità della politica, diversamente dall'Asia non ha una storia e una cultura industriale e manifatturiera, tessile, come l'India, o ceramiche come la Cina. L'Africa per ragioni storiche, ma anche di responsabilità di colonizzazione o di …o meglio di decolonizzazione, o come è avvenuta la decolonizzazione, l'Africa esporta solo la materia prima; che sia essa agricola (caffè, cacao eccetera) o che sia essa materia prima di tipo minerale o quello che volete. Noi però all'Africa, che così oggi è, a parte problemi interni, gli vogliamo vendere una ricetta liberale, a condizione di mantenere però il nostro protezionismo. Sicché io apprezzerei molto di più i marciatori di Genova, se fossero però altrettanto decisi a lottare insieme per chiudere, abrogare, terminare la politica agricola europea comune. Perché se no non va bene, non va bene che, certo, il prezzo del caffè, del cacao, delle banane, di quello che loro producono, è stabilito in borsa in termini di libero mercato epperò noi invece no, anzi già che ci siamo, non vogliamo né un limone, né un'arancia, né un pomodoro, né una fragola, né un fiore di quello che loro producono e ad adiuvandum non vogliamo neanche le persone.

Quindi sia ben chiaro che la globalizzazione è come la diciamo noi, una cosa a senso unico, nooi andiamo a vendere quello che produciamo, però i loro prodotti sono pregati di tenerseli, siccome gli mettiamo tali e tante barriere e tariffe doganali che quelli.. e in più si tengano anche le persone.

Mi piacerebbe un bel dibattito, come si chiama: Josè Bovè, il leader degli agricoltori biologici o come diavolo si chiamano, europei. Capisco bene, ad esempio, me lo faceva notare un articolo fatto…che è un esempio molto chiaro, me l'ha segnalato Benedetto sul Sole 24 Ore; ogni bovino europeo, dalla Sicilia alla Finlandia riceve un dollaro al giorno di sussidio di politica agricola comune più stati membri eccetera. Che è esattamente il dollaro al giorno con cui vivono, e pretendiamo che continuino a vivere e vogliamo che continuino a vivere 600 milioni di africani in particolare, visto che i paesi più poveri sono normalmente di quella cintura.

Per dirvi un'altra cifra, così ci capiamo ancora meglio, l'aiuto pubblico allo sviluppo due anni fa è stato di 14 miliardi di dollari, la perdita dei loro prodotti, per dazi e barriere doganali, è stata stimata a 20 miliardi di dollari. E allora di che parliamo. E come li dobbiamo aiutare questi poveri che sono stati invitati a cena dal nostro Presidente della Repubblica. Anche in questa situazione, chiunque se ne occupi ha visto, ha visto che ha fatto le prime pagine, di come sta andando, per altre ragioni anche, l'Argentina e quant'altro. L'Argentina è uno di quei paesi che non riesce ad esportare un chilo di carne in Europa. Allora dobbiamo decidere, siamo liberali o no? Lo stesso vale per i tessili, lo stesso vale per una serie di altri prodotti. Allora dico che, per serietà e per governare la globalizzazione, che pure ha effetti positivi eccetera, bisogna appunto governarla e bisogna pure capire che alcune riforme, alcuni cambiamenti importanti dipendono da noi.

Noto anche che tra i paesi poveri invitati alla cena che avviene in settimana per dire che cosa vogliono, che cosa potremmo fare, non so perché è stata inserita l'Algeria, la quale ha tutta una serie di problemi, ma che sia un paese povero questo non l'avevo ancora sentito, anzi l'elite algerina riesce anche a stare al potere e a tenerlo nel modo in cui lo tiene proprio perché confortabilmente seduta su ricette di gas, petrolio e quant'altro. Nell'insieme dei paesi poveri è stata inserita pure l'Algeria, non ho capito le motivazioni, ma comunque non fa niente.

Questo solo per dire che non è aumentata la povertà, quello che è aumentato sono le diseguaglianze i poveri sono rimasti sempre quelli; il contadino del …. sta come stava 40 anni fa. Quelle che sono aumentate sono le diseguaglianze, in particolare un miliardo di persone delle zone più ricche, che sono l'Europa, il Giappone gli Stati Uniti, Canada e quant'altro, sono diventate sempre più ricche.

Il rapporto non è da 1 a 30, ma è da 1 a 60; allora marciando e marciando qualcosa di più serio bisogna cominciare a chiederlo e forse se anche i nostri governanti non fossero tutti così in ginocchio ad accarezzare per il pelo giusto chiunque marci o non marci, forse questo movimento sarebbe un po' più diviso e un po' meno coeso. E' chiaro che gli interessi che rappresenta Josè Bovè, che sono quelli del protezionismo agricolo con la componente del prodotto doc; sono più o meno gli interessi che rappresenta il sindacato americano o gli altri; perché è chiaro che nella globalizzazione ci sono dei vincitori e dei perdenti. Nel nostro mondo sono perdenti tutti quei settori di industrie che più a buon mercato possono essere delocalizzate altrove. E ha ragione la responsabile di greenpeace in Cina che giustappunto dice una cosa fantastica, parlando dei talebani di Seattle; dice: i manifestanti nelle vostre piazze esprimono, penso, il panico di certe categorie di lavoratori alle quali i musi gialli presto sottrarranno l'impiego; io dico - dice lei - tocca a voi, nei paesi all'avanguardia dello sviluppo, procedere verso attività economiche che non possono essere svolte da poveri diavoli in Asia. Perché uno che non è un liberista come noi, ma molto più ragionevole, che è il vecchio Helmut Schimdt dice una roba lapalissiana: se noi siamo un miliardo di persone ricche circondati da 5 miliardi di persone povere o semipovere che sono disposte, come tutti noi 50 anni fa, a lavorare di più con meno stipendi, meno salari e meno ferie, spiegatemi voi come è possibile non delocalizzare.

Dico tutto questo perché io credo che da questo punto di vista, analisi che noi abbiamo fatto, ma più che analisi, progetti ed iniziative; quando noi abbiamo posto i referendum sul mercato del lavoro, sulla flessibilità, su quant'altro in Italia, è perché tenevamo conto di questi processi internazionali, non perché ci siamo svegliati la mattina e bisognasse torturare i lavoratori. Io capisco che elettoralmente è poco utile provare a dire agli agricoltori italiani che forse il loro settore così com'è non è sostenibile e probabilmente l'allargamento, quando ci sarà, lo farà scoppiare; ma non avendo governato la trasformazione, sarà un settore probabilmente boccheggiante perché nessuno lo ha governato, anzi nessuno glielo ha manco detto, anzi tutti continuano a dirsi che sarà possibile, con lo stesso livello del bilancio europeo; sarà possibile allargare, passare a 20, a 25, mantenere i fondi strutturali, mantenere i sussidi agricoli e quant'altro. Un bel giorno si sveglieranno, non sarà così, ma una classe politica non ha governato un fenomeno. Quindi l'analisi, al di là di settori, analisi più italiane sul terzo stato eccetera, io penso, so, che il pacchetto referendario nostro sulla modernizzazione sul mercato del lavoro, e per altri versi del sistema politico, ma di questo ne abbiamo discusso molte volte, teneva proprio conto di fenomeni che vanno sotto il titolo di globalizzazione, che stanno avvenendo nel mondo intero rispetto al quale la protezionista autarchica che noi vorremmo ancora continuare ad avere semplicemente non è tenibile. In questo senso Cofferati è un conservatore e rischia di divenire persino un reazionario; non perché non difenda, difende gli iscritti suoi, ma il problema è che quando si scambia il ruolo del sindacato, come se il sindacato fosse un dato istituzionale nel nostro paese, per cui l'incontro del governo con i sindacati pare l'incontro del governo col Parlamento; non è così; il sindacato rappresenta una parte, un settore; la confindustria ne rappresenta un'altra; il governo ha la responsabilità di fare le scelte che, non potendo avere tutti vincitori, ovviamente sono le più adeguate rispetto alla grande maggioranza o quello che lui ritiene di dover favorire.

Quindi non solo non marcio con questi, ma esattamente al contrario, mi sento in difficoltà pure a marciare con quegli altri essendo quelli del G8 perché mi pare che abbiano perso il senso e anche persino la forza di dire le cose come stanno; e che debbono invece mettersi e lanciarsi in dialoghi confusi, con parole chiave poco chiare e un po' senza senso. Sicché per esempio io trovo che proprio da questa analisi e da questa situazione le cose che noi abbiamo avviato negli ultimi 6 mesi sono quelle che, a mio avviso, dobbiamo continuare a fare. E dopo un altro aspetto, che anche lì, io trovo che le risposte che vengono date sono proposte di soluzione che sono anche lì proposte vecchie, obsolete, conformiste, reazionarie. Prendiamo l'esempio AIDS, grande scoperta, pare che non ce ne eravamo accorti, scopriamo anche che analizzando un po' meglio che l'AIDS non è la malattia dei poveracci africani; se è una malattia degli africani è innanzitutto una malattia delle classi medie e medio-alte africane, tanto per cominciare, perché sono quelle più promiscue, che viaggiano di più, che hanno qualche soldo, eccetera; nella maggioranza di quelli colpiti, non perché non siano colpiti anche gli altri; il che vuol dire che un continente che già ha una classe politica fragile, un'amministrazione fragile eccetera, è proprio quella classe, i militari, per esempio, sono il settore della popolazione più colpito in termini percentuali, per note ragioni, è l'azzeramento di quella generazione, di quel tipo di fascia di popolazione. Ma io credo che sia anche venuto di più alla ribalta come attenzione, come necessità di attenzione, non tanto per l'Africa, ma perché si è scoperto che uno dei più alti tassi di infezione in realtà è in Russia, Ucraina, Cina, di cui si sa poco, e quant'altro. Un'analisi economica che è stata fatta è che un paese che abbia il 15%, tra il 15 e il 20% di popolazione colpita da questa malattia ha come corrispondenza economica quasi la perdita dell'1% del prodotto interno lordo. Siccome la Russia sta in questa situazione, l'Ucraina altrettanto, in più tenete conto che l'Ucraina non ha mai avuto un prodotto interno lordo in positivo dall'indipendenza in poi, credo che un certo tipo di preoccupazione dei nostri leader europei venga anche, se non soprattutto, dal fatto di essersela vista un pochino più vicina, non così lontana. Ma detto tutto questo, e ben venga che se ne parli, io trovo che le risposte che vengono date come ipotesi di soluzione le trovo davvero inadeguate e vi spiego perché. Non voglio tornare sulla polemica medicinali eccetera, la vittoria del Sud Africa il ritiro del…. degli Stati Uniti contro il Brasile, questo va tutto bene, è tutto sacrosanto eccetera eccetera. Il problema è che, medicine o non medicine, possono alleviare chi infetto è già, possono allungare la vita e togliere un po' di sofferenze a chi infetto è già, e vaccini, com'è noto, non ne sono ancora stati scoperti. Ma un dilagare di un'epidemia si ferma con la prevenzione, non solo curando chi è già ammalato; e su quello il silenzio è totale, perché implica usare una parola che da noi poco si dice, da loro ancora meno, che si chiama sesso. Questa parolaccia non la pronuncia nessuno, né a Genova, né altrove; io penso che se c'è qualcuno con cui dovremmo sfilare è con un tale signore credo coraggioso, che è il Primo Ministro del Mozambico, se proprio vogliamo possiamo sfilare con questo signor Mocumbi, che se solo avessimo sarebbe forse l'unica persona africana con cui andare a parlare; il quale signor Mocumbi scrive, dichiara alle Nazioni Unite, scrive sull'Herald Tribune, che per fermare l'AIDS l'Africa deve cominciare a parlare di sesso. E dice questo signor Macumbi che siccome appunto non basta il vaccino, non è come la malaria, la cecità o la tubercolosi, se non si comincia a parlare di sesso, di rapporti sessuali sicuri con le nuove generazioni, in Africa non si va da nessuna parte.

E forse è questo, però, allora se è questo, oltre a chiedere un po' di soldi i più, come sfiliamo con la suora del ministro Ruggiero? E come sfiliamo a Genova con Tettamanzi, il prete che ha portato la tuta bianca al Papa per mettergliela pure a lui, e tutta questa serie di posizioni che sono quelle che del preservativo non si parla, che della pianificazione delle nascite per carità di Dio, degli anticoncezionali per carità, quello è un peccato. Con chi sfiliamo? E chi sfila con chi a Genova allora? Io credo che se invece di fare tante piaggerie qualcuno avesse posto a questi signori questo tipo di domande, ma il problema è che nessuno le pone perché intanto nessuno, dal punto di vista governativo, si risponde da questo punto di vista. Per cui, per esempio, proprio partendo dall'AIDS, c'è una responsabilità chiara di una parte e di una predicazione confessionale che c'è sia sull'esplosione demografica, sia sull'esplosione epandemica. E invece è diventato l'unico leader a cui ci si rivolge, che a me parte appunto che fosse uno dei più responsabili di quello che succede; ma dico lui, mi potrei riferire altrettanto alla posizione islamica per esempio, perché questi signori religiosi sono poi unitissimi in certi tipi di discorsi ed in certi tipi di settori; sicché a me interessa questa cosa dell'AIDS, ci interessa, diversamente dalla tubercolosi, dalla malaria e quant'altro, che sono tutte malattie africane, ma la diversità di questa è che l'unica ipotesi di soluzione è un'ipotesi di libertà, dignità delle persone, di quello che a loro capita nella vita, dei loro rapporti sessuali, di questi tabù di cui, appunto, l'Africa culturalmente muore. Da questo punto di vista per esempio, ho trovato che era di laicità, ho trovato che era buono, interessante, utile, esplosivo provare a occuparsi di mutilazioni dei genitali femminili, perché anche lì si tocca un punto che non è un punto che ha soluzioni sanitarie, non è questo il problema; ha come soluzione la dignità, i diritti umani e civili delle persone, la loro possibilità, per esempio, per fare un passo avanti, di espressione democratica. Non è un caso che i pochi paesi africani che hanno "tentato" di risolvere questo problema poi sono paesi che hanno strutture un minimo democratiche; e credo che anche lì sarà difficile combattere se la gente organizzata non ha libertà di espressione. Tu puoi pensare di superare le mutilazioni dei genitali femminili o l'AIDS in alcuni paesi dove appunto la libertà di espressione è in qualche modo garantita; è molto più difficile, anche se non impossibile, in Sudan o da qualche altra parte. Questo solo per arrivare, se volete, alla conclusione. Ma tutto questo noi l'abbiamo non solo sostenuto nelle nostre condizioni, dove noi non abbiamo né molto AIDS, né molte mutilazioni dei genitali femminili, per quanto ci riguarda, a livello di dove siamo, questo tipo di battaglia sulla libertà, la libertà di cura, di ricerca scientifica, la libertà di disporre di sé e della propria malattia, noi l'abbiamo incardinata al nostro livello di situazioni con tutta la battaglia sull'eutanasia, sugli embrioni, sulla ricerca scientifica e quant'altro, sulla laicità, sulla libertà e responsabilità individuali. Che in altri paesi si chiamerà mutilazioni dei genitali femminili, si chiamerà AIDS, ma guardate che alla fine della storia, stiamo in realtà sempre parlando delle stesse cose, dicendo le stesse cose, obiettivamente con esempi diversi a seconda di quelli in cui uno si trova a lavorare e a vivere. Quando noi abbiamo posto il problema della libertà della ricerca scientifica, dell'embrione e c'è stato risposto dalla Chiesa Cattolica, a cui l'intera classe politica si è in qualche modo inginocchiata; ma qui siamo arrivati mi pare che qualcuno voglia proporre lo stato giuridico dell'embrione; dico questo perché quello che abbiamo fatto in Italia, e che in qualche modo cerchiamo di fare altrove, ha questo unico filo conduttore.

Io credo per esempio che in attesa di chissà quali progetti complessivi, più articolati e quant'altro, la battaglia sulla libertà di ricerca scientifica, sull'eutanasia eccetera sia un terreno da cui non demordere, perché questo è un terreno, peraltro, che non è occupato da nessuno; anzi, anche i paesi europei per evitare, avendo le elezioni loro tra un anno, stanno seguendo l'esempio Italia. La Germania ha deciso che Schroeder non porterà avanti la legge sull'utilizzo degli embrioni perché è un po' troppo controversa e lui ha le elezioni tra un anno; in ogni caso hanno deciso di comprarli da Israele e dall'Australia, che sono pieni di embrioni, non so per quali motivi, e quindi la ricerca andrà avanti; lo stesso mi pare abbia deciso la Francia, in Europa tengono invece posizioni legislative più chiare e più ferme i paesi nordici, l'Inghilterra e, per ragioni diverse, la Spagna. In attesa di capire meglio molte altre cose, io credo che tutto questo settore della bioetica e della bioingegneria, verde o rossa che sia, è un settore su cui abbiamo seminato molto e io credo che sia un settore in cui, per mille ragioni, che ho cercato di dire, io credo che dobbiamo andare avanti. Sarà l'idea delle due proposte di legge da riprendere, sarà una sponda e una campagna che è una di quelle che può avere un territorio italiano e un territorio transnazionale per esempio, anche istituzionalmente parlando, visto che il Parlamento Europeo ha una commissione che deve dare un responso e una nuova risoluzione per novembre, dicembre. Credo però che quello è un settore su cui abbiamo molto seminato e su cui dobbiamo continuare, così come tutto quell'altro liberista sulle libertà economiche, anche lì cercando di vedere che cosa questa nuova maggioranza voglia affrontare, in che termini, ma indubbiamente è uno dei temi che dobbiamo continuare. Il problema è quale strumento trovare; qual è non solo l'obiettivo adeguato degli anni 2001/2002 e qual è lo strumento. Referendum no, diceva… Questa è la difficoltà in cui ci troviamo, che non è la difficoltà, a mio avviso, dell'analisi, delle idee e delle proposte, io la vedo molto di più come invece una difficoltà di strumento nelle condizioni attuali di regime o come lo volete chiamare, che ci troviamo a vivere in Italia.

Ultimo punto e ho finito. Mi viene solamente da dire e da aggiungere, sempre per finire sulla globalizzazione, che c'è un altro aspetto su cui io mi sento lontanissima da chiunque metta piede a Genova o a quant'altro: è che c'è una globalizzazione che non c'è, sicuramente, ed è quella dei diritti, della libertà e della democrazia; che peraltro l'intero popolo ex Seattle non chiede neanche, non è una loro preoccupazione, né una loro richiesta. Io credo invece che sia questa la parte più necessaria, ma perché questa è esattamente quella che più abbiamo continuato a macinare e continuiamo. Compagni radicali in giro per il mondo, Olivier ci ha detto arrestati 3 stamattina a Mosca, altri in Tunisia, altri altrove. Ma certamente non so, non torno sulla polemica che non c'è stata, perché l'accordo, al di là di qualche irritant, è stato totale sui giochi olimpici a Pechino senza niente "in cambio", come si dice, senza colpo ferire. Non c'è pace senza giustizia, ad esempio, ha continuato a lavorare, sta preparando per martedì una cosa sul tribunale internazionale permanente, siamo a 38 ratifiche, credo, più o meno, ne mancano una ventina. Questo solo per dire che tutta questa parte che non c'è, né nei governi, né nei marciatori è quella della globalizzazione dei diritti, delle democrazie e della libertà è invece quello che noi abbiamo cercato di praticare a livello transnazionale e anche nazionale obiettivamente. E che tutte le iniziative, che possono sembrare sporadiche, in Vietnam o in Tunisia o non so dove hanno come unico filo conduttore esattamente questo; e che senza libertà e senza democrazia è possibile avere una crescita economica per certi periodi anche stravolgente, ma non è possibile parlare di sviluppo e in particolare di sviluppo umano. Eppure per tutta quest'altra parte, del diritto, dei diritti e delle libertà, non c'è manco istituzione, uno non sa a chi si deve rivolgere. Dal punto di vista economico, piaccia o non piaccia, scrivevo in quel testo finale, uno ha l'organizzazione mondiale del commercio, la banca mondiale, il fondo monetario o quant'altro, buoni e cattivi da riformare, ma c'è, e il mondo ha sentito la necessità di darselo e di costruirselo. Per quanto riguarda diritto, diritti, libertà e democrazie non c'è istituzione vincolante internazionale che abbia questo compito, cioè di sanzionare o verificare il rispetto delle convenzioni dei trattati non economici, ma quelli sui diritti e i doveri. L'Uruguay round si è dato l'organizzazione mondiale del commercio, la convenzione dei diritti umani non si è data niente. E infatti la fatica di inserire lì dentro in tutta questa parte di diritto internazionale con vincoli sanzionatori è stato lo sforzo del Partito Radicale negli ultimi 10 anni. Mi ha fatto sempre impressione, lo dico come una boutade, ma neanche tanto, eppure questo dato dei diritti è una consapevolezza che comincia a divenire molto diffusa; che non avendo strumenti adeguati ciascuno si inventa le cose più disparate; in Brasile si stanno inventando non so perché un tribunale sulla violazione dei diritti sociali, cioè la caricatura del diritto, se volete. Il Belgio avendo questa legge che consente la giurisdizione internazionale ormai è diventato il ricettacolo di tutte le plent giudiziarie, per cui quelli della Costa d'Avorio, i Palestinesi contro Sharon e chi per esso, tutti vanno a depositare le loro accuse in Belgio, che apre poi le inchieste eccetera, credo che alla fine il Belgio sarà costretto a cambiare la legge se non vuole diventare la lettera postale, la buca postale di tutti quanti. Tutto questo solo per dire perché questa cultura, questo elemento della cultura del diritto e del diritto internazionale, su cui eravamo ossessionati e che evidentemente ha fatto culturalmente grande strada, visto che oggi, comunque, questa consapevolezza e questa necessità è diffusa.

Ma appunto dall'altra parte non c'è risposta istituzionale adeguata; dicevo, l'organizzazione mondiale della democrazia, un OMD più che un OMC potrebbe essere la risposta. E per venire a noi, io credo, e l'ho detto prima, il nostro problema proprio in questo contesto, almeno io così lo leggo, internazionalmente parlando, ha per quanto ci riguarda un problema, a mio avviso, di strumenti di lotta politica; da questo punto di vista la proposta che la direzione e Marco Cappato hanno fatto è un tentativo di risposta.. C'è un problema di scelta e di discussione degli obiettivi dei Radicali italiani.

Io ho provato a dire che c'è un terreno completamente scoperto, e rimarrà scoperto, che è quello della bioetica; credo, forse sull'avvio, sulla verve, i verdi esistendo poco, probabilmente si supererà.

Credo anche che il rapporto delle Nazioni Unite abbia dato un valido aiuto da questo punto di vista sugli organismi geneticamente modificati; ma il macigno, invece, del proibizionismo e dell'oscurantismo clericale credo sarà (e non dico solo delle burocrazie vaticane, dico pure dell'intera classe politica) molto più difficile da smuovere, ma certamente quello è un campo.

Allora i 3 giorni che ci sono di fronte sono quelli che ci devono spingere a cercare di discutere, già ad abbozzare per la mozione politica i temi, con relativi strumenti, possibilmente, e darci un'organizzazione, transitoria finché volete, che ci porti al congresso alla ricerca di uno strumento di lotta che sia e di iniziativa politica che sia adeguato ai nostri tempi e alla situazione che ha il nostro paese.