radicaliAnarchici

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Chi sono i radicali anarchici

Finalmente, arriva il sito dei radicali anarchici. Ma chi sono costoro?
A tale proposito, occorre far riferimento a un numero di Re Nudo, la storica rivista di controcultura diretta da Andrea Valcarenghi, del 1976 che conteneva, oltre alla pubblicazione della proposta di legge radicale sulla droga, i risultati di un sondaggio sugli orientamenti politici dei lettori. Ebbene, in pieno clima marxista o leninista, la maggioranza relativa dei lettori esprimeva un orientamento politico nella direzione del Partito Radicale. Ma non si tratta solo di questo.

Vediamo i dati separatamente tra uomini e donne.
Tra gli uomini, il 19,7% esprimeva una preferenza per i radicali, solo il 9,8 per LC ad esempio, mentre gli anarchici erano il 7,8% (comunque tanti). Interessanti anche le indicazioni doppie o triple: l’11,7% indicava la propria preferenza per il PR più qualcosa d’altro (LC, PDUP e AO), mentre il 5,2% indicava una preferenza congiunta per radicali e anarchici.
Insomma, sommando preferenze singole, doppie o triple, i radicali erano oltre il 35% di preferenze, e gli anarchici attorno al 13%.
Ancora più interessanti i dati per le donne, data l’incidenza del movimento femminista.
I radicali da soli avevano anche qui la maggioranza relativa (20%), ma le anarchiche erano ben il 18,2%.
Ma, si badi, chi indicava sia radicali che anarchici o cani sciolti) erano, tra le donne, ben il 16,8%.
Come dire che le preferenze radicali, tra le femmine, raccoglievano quasi il 37% e quelle anarchiche il 35%, naturalmente i dati vanno sovrapposti.

A questo punto chiediamoci: chi erano questi anarco-radicali?
A nostro avviso si trattava di due categorie:

a) I radicali che non erano completamente appagati dalla politica delle singole issues sui diritti civili, che pure erano riconducibili a un unico denominatore, la politica della liberazione del corpo, ma che intendevano collocare quest’ultima in un contesto più ampio, in uno sfondo ideale, anche utopico, ma più complessivo.

b) Gli anarchici che non condividevano la linea astensionista del movimento anarchico ufficiale, e che vedevano nelle iniziative radicali degli inveramenti concreti, anche se graduali, di una possibile politica libertaria, fermo restando l’ideale ultimo anarchico.

Come si vede, queste due posizioni finiscono con il sovrapporsi.
Ma, a ben vedere, lo stesso Marco Pannella in quegli anni esprimeva posizioni “anarchiche”.
Nella sua nota prefazione al libro dello stesso Andra Valcarenghi, “Underground a pugno chiuso”, che fu festosamente salutata da Pasolini come il manifesto del radicalismo italiano, Pannella scriveva: “Non credo al potere, e ripudio perfino la fantasia se minaccia d’occuparlo” (detto tra parantesi, Pannella faceva benissimo a diffidare della fantasia al potere, dato che Hitler e Pol Pot erano fantasiosissimi…).
E poi, in vari interventi congressuali, Pannella si dichiarava a favore del “deperimento del potere”, e individuava nel “diritto” lo strumento di tale processo di deperimento, da condurre “un millimetro al giorno, nella giusta direzione”.


Oggi, invece, Pannella fa più volentieri riferimento al concetto di “Stato di diritto”, e dice che i radicali conducono battaglie in suo nome e per la sua difesa, magari, opportuna precisazione, contro la “ragion di Stato”. A noi pare che occorra far fare la pace ai due Pannella: costringere sì, se è il caso, lo Stato a rispettare la sua propria legalità, ma sempre tenendo fermo l’obiettivo finale del suo deperimento, e del deperimento di ogni forma di potere e di dominio.