"Le prime mosse per le presidenziali 2016", Raffaello Matarazzo

La corsa alle presidenziali 2016 è già iniziata. Non poteva essere altrimenti, visto che anticipazione e tempismo sono variabili sempre più determinanti nella competizione per la Casa Bianca. In vista della conclusione del ciclo Obama, il gran ballo dei posizionamenti sta entrando nel vivo, sebbene manchino ancora diversi mesi (novembre) al voto di midterm per il Congresso.  

Se i Democratici hanno già predisposto la loro war room in un nuovo scintillante palazzo di vetro nel centro di Washington, i Repubblicani stanno aprendo una serie di uffici elettorali lungo il fiume Potomac, nei quartieri residenziali del Nord Virginia. Attivisti politici per due opposti Super PAC, American Bridge 21st Century per i Democratici e America Rising per i Repubblicani, stanno già facendo le pulci a vita pubblica e privata di ogni possibile concorrente. Archiviando materiale prezioso sia per le primarie che per la campagna ufficiale.

Queste iniziative rendono l’idea del crescente protagonismo dei nuovi Super PAC, e di parallele organizzazioni non-profit, che attraverso studi, mobilitazione di volontari e addirittura selezione dei possibili candidati, stanno erodendo sempre più spazi alle tradizionali gerarchie di partito. La loro forza sta nel fatto che, grazie a una sentenza della Corte Suprema del 2010, possono ricevere e spendere finanziamenti illimitati, a differenza di partiti e candidati. Le non-profit non sono nemmeno obbligate a rivelare i nomi dei propri donatori. Oltre un miliardo di dollari della campagna del 2012, (rispetto ai sei miliardi complessivamente raccolti da Barack Obama, Mitt Romney e dai candidati al Congresso), è passato per questa via. Il ricorso a gruppi o soggetti esterni da parte dei due principali partiti nazionali è destinato ad accrescersi, tanto che secondo alcuni già si può parlare di un vero e proprio sistema partitico “ombra” o parallelo.

Hillary alla riscossa

La recente notizia che il più grande Super PAC vicino ai Democratici, Priorities USA, abbia iniziato a raccogliere fondi per Hillary Clinton, lascia intendere che il partito si stia schierando sempre più compattamente con l’ex segretario di Stato. Un fatto abbastanza inedito con un così largo margine di anticipo rispetto alle elezioni.

Tra i Super PAC in corsa per il 2016 spicca anche il Ready for Hillary, fondato a gennaio 2013 da Adam Parkhomenko e Allida Black e guidato dagli ex-strateghi dell’amministrazione Clinton o da ex-collaboratori di Hillary al dipartimento di Stato. Questi, in particolare, cercano adepti “di punta” tra i sostenitori di Obama, per dimostrare la capacità di Hillary di espandere la  base di consenso dei Democratici. L’ascesa di Ready for Hillary è stata immediatamente seguita, peraltro, dall’emergere di vari Super PAC “anti-Clinton”, così come da gruppi favorevoli a possibili candidati repubblicani come, ad esempio, il senatore Rand Paul.

Dalla scorsa estate, del resto, figure di spicco dell’ultima campagna Obama come Jeremy Bird, direttore organizzativo, e Mitch Stewart, responsabile strategico nei dieci Stati in bilico, hanno aderito a Ready for Hillary, dando il chiaro segnale della possibile continuità tra il presidente in carica e la futura candidata. Recentemente Jim Messina, campaign manager di Obama 2008 e 2012, è diventato vicepresidente di Priorities USA a favore di Hillary. Ciò non significa, ovviamente, che lo staff Clinton coinciderà con quello di Obama: uomini simbolo delle campagne Obama, come David Plouffe e David Axelrod, probabilmente non lavoreranno più in prima fila per altre campagne nazionali. Ma certo, come ha sottolineato l’esperto del Washington Post Chris Cillizza, questi passaggi rivelano crescenti convergenze strategiche tra i destini di Barack e quelli di Hillary.

Galassia repubblicana
Certamente più complessa è la partita sul fronte repubblicano, viste le profonde lacerazioni emerse dopo la sconfitta di Romney e l’esigenza di invertire trend demografici che vedono la graduale contrazione della base conservatrice. Secondo l’ex analista del New York Times Nate Silver, la base delle primarie repubblicane può essere suddivisa in cinque grandi nuclei politico-culturali, abbastanza parcellizzati, che rendono molto difficile per un candidato conquistare la maggioranza in più di due o tre di essi. Lo si è visto chiaramente con la nomination di Romney nel 2012, che fino all’ultimo è stato contrastato da religiosi, libertari e Tea Party.

Come si articolano questi cinque gruppi? Determinanti per l’affermazione di George W. Bush nel 2000 ma poi diventati sempre meno influenti, ci sono anzitutto i conservatori religiosi. Questi potrebbero rilanciare l’offensiva nelle primarie 2016 (in quelle del 2012 il loro paladino fu il sorprendente Rick Santorum).

Il loro recente declino, però, è anche dipeso dall’ascesa del Tea Party, che continua ad avere un rapporto controverso con il gruppo dirigente repubblicano e in vista del 2016 ha già iniziato a puntare sull’attivissimo senatore del Kentuky Rand Paul.

Il terzo gruppo è quello dei libertari, più conservatori in campo economico che sociale, e generalmente non interventisti in politica estera. Se nel 2012 il loro paladino fu Ron Paul, nel 2016 potrebbero confluire anch’essi su suo figlio Rand.

A contrastare i libertari, anche se sempre più debolmente, sono i moderati e riformisti, che invece puntano su posizioni molto più centriste sia sui temi sociali che economici. Poco influenti nelle primarie, i moderati acquistano peso nella fase finale della campagna: sia John McCain nel 2008 che Mitt Romney nel 2012 sono abilmente riusciti a coinvolgerli, limando i numerosi punti di attrito con gli altri gruppi repubblicani.

Last but not least, c’è l’establishment repubblicano, che ha perso peso rispetto agli outsider con il graduale indebolimento delle strutture di partito, ma continua a gestire importanti risorse, rapporti con gruppi di pressione, istituzioni e media. Il vero punto di forza dei candidati sostenuti dall’establishment è la capacità di costruire alleanze e di dialogare con tutte le anime del partito, requisito indispensabile per puntare alla vittoria.

Le elezioni di midterm di novembre 2014, in cui si rinnoveranno la Camera dei rappresentanti e un terzo del Senato, saranno il test dei reali rapporti di forza in campo. E determineranno non solo il segno politico degli ultimi due anni dell’amministrazione, ma anche le alleanze strategiche in vista dell’appuntamento del 2016.