"Emma: una figura autorevole per restituire centralità all’individuo", Marco Fabio Garozzo

Emma: una figura autorevole per restituire centralità all'individuo, questo bistrattato

18-04-2013, Marco Fabio Garozzo, notizie radicali

Diversamente dai paesi anglosassoni, nei quali la tradizione liberale è ben radicata, in Italia i pochi che difendono la centralità dell'individuo, definendosi senza ipocrisie individualisti, vengono trattati come cani randagi. Il politically correct imperante, che si nutre di slogan tanto seguiti dalle masse quanto vuoti e generici, nella migliore delle ipotesi qualifica l’individualista come essere moralmente discutibile.

Molto più semplice e di sicura “presa” qualificarsi come persona “di sinistra” che difende i sacri principi della “classe operaia”, degli “sfruttati”, che si batte per il “posto fisso” e per una “più equa redistribuzione” (della povertà), o viceversa qualificarsi come persona “di destra” che si fa paladino dei principi Dio, Patria e Famiglia, potendo così facilmente cavalcare le paure verso il diverso (l’ateo o il credente in altre religioni, colui che non è nato nel sacro suolo italico, o colui che preferisce stili di vita “alternativi”).

La classica dicotomia manicheista, tanto cara a chi preferisce schierarsi con qualcuno anziché elaborare autonomamente le idee e seguire con coraggio comportamenti coerenti con tali idee, impera. L’individualista soccombe.

Le categorie (uomo-donna, cattolico-musulmano-ateo-laico, straniero-italiano o più provincialmente polentone-terrone, ecc.) sono il metro di valutazione insindacabile e ritenuto valido strumento per rapportarsi al prossimo.

Beninteso, il processo mentale che ci porta a schematizzare risponde a una legittima esigenza di “economia” delle risorse mentali: semplificare l’analisi della realtà.

Ma accettando acriticamente le suddivisioni di cui sopra, le qualità, personalissime e uniche, di ogni individuo vengono mortificate, schiacciate dall’informe suddivisione per categorie. Lo strumento ritenuto infallibile è la classificazione, l’appartenenza alla categoria qualifica ognuno di noi.

Individualismo è innanzitutto il riconoscimento del valore morale dell’individuo. Della sua libertà, che comporta il gravoso onere della responsabilità.

Essere liberali significa dunque porsi, istante per istante, un limite: un limite individuato nelle possibili conseguenze che le nostre azioni riverberano sull’esistenza altrui.

Una visione, ovviamente, pericolosa per chi preferisce indottrinare, classificare per appartenenze ideologiche, religiose, al fine di controllare “le vite degli altri”, come avveniva nella ex DDR.

Il pretesto ideologico è un formidabile strumento di facile controllo delle masse, per inebetirle e privarle di qualsiasi approccio critico all’osservazione della realtà.

Chi, invece, pone al centro l’individuo non può essere razzista, sessista o un intollerante religioso: è, piuttosto, un relativista, un tollerante, cauto nell’arrecare offese a chi mostra di avere idee e comportamenti diversi dal proprio. È refrattario ai dogmi. Nutre un certo scetticismo persino verso le dottrine e le ideologie, preferendo anteporre a queste la logica e la constatazione della realtà. Non crede nelle magnifiche e progressive sorti dell’umanità, neppure nella utilità di indirizzare consumi e produzione tramite una pianificazione. Ritiene, per dirla alla Adam Smith, che “non è dalla generosità del macellaio, del birraio o del fornaio che noi possiamo sperare di ottenere il nostro pranzo, ma dalla valutazione che essi fanno dei propri interessi”.

I liberali, questi sconosciuti, propugnano sin dalle loro origini che lo Stato sia soltanto garante delle leggi poste per assicurare la civile convivenza dei cittadini, e non diventi mai un imprenditore o una guida economica ed etica. Tutto l’opposto del caso italico.

La corruzione ed il clientelismo sono ottimi figli della visione statalista: con i soldi dei cittadini, i partiti della spesa pubblica attribuiscono allo Stato funzioni che non gli apparterrebbero. Lo Stato è “imprenditore”, crea Enti al cui vertice ovviamente stanno uomini “di chiara fede”. Il rischio della “impresa” è nullo, il fallimento dell’Ente è escluso dal paracadute della ricapitalizzazione, ovviamente a spese dei contribuenti: i partitocrati gongolano.

Un esempio sotto gli occhi di tutti (ma anche dietro la fetta di prosciutto di molti)? Lo Stato, dopo aver incassato nel solo 2011 ben 10 miliardi dai giochi d’azzardo, impiegherà tempo, denari e risorse del Ministero della Salute per “osservare” il fenomeno della dipendenza dal gioco. Il massimo del dirigismo economico e di quello etico. Un Leviatano perfetto!

La deriva partitocratica prese piede nei primi anni ’60, periodo a partire dal quale i partiti della spesa pubblica senza freni hanno creato “il sistema”.

Dalla guida di persone come Einaudi, dalle firme dell’informazione come quelle de Il Mondo di Pannunzio, siamo passati allo squallore del duo B.&B. con un capopopolo a fare da ago della bilancia e agli editoriali di menti “travagliate”, piene di livore giustificato soltanto dall’audience, che lanciano accuse inconsistenti.

In questo momento, più che mai, servono figure alte, di garanzia. Per questo motivo mi sembra che un atto serio e responsabile da parte di tutti i parlamentari potrebbe essere la scelta a Presidente della Repubblica di Emma Bonino, una persona che si è sempre battuta per la centralità dell’individuo. Una garanzia per la Libertà individuale e per la sua inseparabile compagna di avventura, la Responsabilità.