"I test missilistici nordcoreani e la transizione interna in corso", F. L. Grotti

Pyongyang, North Korea (Xinhua/eyevine)

Pyongyang, North Korea

Il test missilistico nordcoreano del 13 aprile è stato un fallimento tecnico, e dunque politico; per capirne il senso si deve comunque inserire nel contesto della transizione al vertice della dittatura di Pyongyang.

Il 15 febbraio, durante le cerimonie per il 70mo compleanno del padre appena deceduto (Kim Jong-il), Jong-un aveva promosso gli ufficiali responsabili del programma nucleare nordcoreano al rango di generali a quattro stelle. La stessa nomina era toccata a gennaio allo zio di Jong-un, che secondo molti svolgerebbe il ruolo di tutore del nuovo dittatore, Jang Song-thaek. L’11 aprile la transizione al potere, almeno ufficialmente, è stata completata: secondo la tradizione del paese comunista, il defunto “Caro leader” è stato nominato “Presidente eterno” della Commissione nazionale di Difesa e “Segretario generale eterno” del Partito dei Lavoratori. Il “leader supremo” Kim Jong-un, invece, ha assunto il titolo di Primo presidente della Commissione nazionale di Difesa e Primo segretario del Partito dei lavoratori – una carica che ricorda quella assunta nell’Unione Sovietica da Nikita Khrushchev, succeduto a Stalin, o quella attualmente ricoperta da Raul Castro.

La ricorrenza è stata accompagnata da un tentativo di prova di forza, uno schiaffo alla comunità internazionale che avrebbe dovuto dimostrare al mondo l’autorità del giovane e inesperto dittatore: il lancio di Kwangmyongsong-3, satellite di osservazione terrestre (che prende il nome da un componimento poetico in cinese di Kim Il-sung). Quello che per il regime comunista è, ufficialmente, solo un “legittimo” lancio di satellite in orbita, è riconosciuto dalla comunità internazionale come un test missilistico in piena regola. A essere testato è infatti Unha-3, missile balistico in grado di arrivare a 4.500 chilometri di distanza. Il missile a lungo raggio è stato lanciato (alla presenza dei giornalisti) il mattino del 13 aprile, ma circa un minuto più tardi si trovava, spaccato in una ventina di pezzi, sul fondo del Mar Giallo.

Il missile, come annunciato dal ministro della Difesa sudcoreano Shin Won Sik, “è esploso in aria un minuto o due dopo il lancio. Il test balistico missilistico è stato un fallimento”. Ma, ha aggiunto il ministro di Seul, “siamo davanti a una grave provocazione e a una minaccia militare”.

Il missile non è stato lanciato solo in manifesta violazione delle risoluzioni 1718 e 1874 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che vietano alla Corea del Nord di fare test missilistici e nucleari, ma rappresenta anche un’aperta sfida agli Stati Uniti. Il 28 febbraio, infatti, il diplomatico nordcoreano Kim Kye Gwan e l’inviato di Washington Glyn Davies, dopo due giorni di colloqui a Pechino, erano arrivati a un accordo: il regime avrebbe sospeso l’arricchimento dell’uranio, i test nucleari e il lancio di missili a lungo raggio in cambio di 240 mila tonnellate di aiuti alimentari da parte degli Stati Uniti. Il regime comunista ha impiegato appena due settimane per rompere il patto, che per Hillary Clinton rappresentava “un significativo passo in avanti”. Inevitabile la condanna internazionale e la reazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che ha minacciato l’inasprimento delle sanzioni. Anche la Cina ha mostrato disappunto, probabilmente perché non era stata avvisata in anticipo del lancio.

Ma come la storia degli ultimi anni ha dimostrato, le sanzioni non funzionano. Quando sono state introdotte per la prima volta dopo il test nucleare dell’ottobre 2006, e inasprite dopo il secondo test nucleare del 2009, entrambi seguiti a due test balistici missilistici simili a quello del 13 aprile, si pensava che il regime ne sarebbe uscito più debole e per questo sarebbe stato costretto a rivedere il suo programma nucleare. Ma negli ultimi anni la Corea del Nord non ha subito un crollo economico, come ci si aspettava; e ciò soprattutto perché la Cina ha continuato a finanziare e aiutare il regime, contravvenendo alla lettera delle sanzioni. Nel periodo tra il 2006 e il 2011 il commercio tra i due paesi è passato da un volume di affari pari a 1,6 miliardi di dollari a 4,4 miliardi. Nonostante la preoccupazione cinese nei confronti dell’attività militare e nucleare nordcoreana, espressa recentemente in dichiarazioni pubbliche, Pechino continua in sostanza ad appoggiare Pyongyang in modo decisivo. Un dato confermato anche dall’ultima enorme parata militare nordcoreana, dove un missile di media gittata lungo 20 metri è stato fatto sfilare sopra un trasportatore e lanciatore di origine cinese.

Se le sanzioni non hanno ottenuto il risultato sperato, anche la strategia statunitense di inviare al regime tonnellate di aiuti alimentari in cambio di una moratoria sul programma nucleare è perlomeno controversa. Lo sostengono tutti i dissidenti nordcoreani, come ad esempio Choi Song Min, scappato dal paese nel 2010: “Le potenze straniere pensano di fare la cosa giusta inviando aiuti alimentari ma devono sapere che il cibo non viene neanche toccato dalla gente, anzi, viene usato per rafforzare il regime. Gli aiuti alimentari non servono più a niente. Dovrebbero invece fare pressione politica sul regime perché impedisca che la gente muoia di fame e la lasci uscire dai piccoli buchi in cui vive”.

Fare pressione politica sul regime nordcoreano è difficile, ma sempre più urgente, anche alla luce delle ultime bellicose dichiarazioni di Pyongyang contro Seul, per cui qualunque cosa succederà nella regione dovrà essere imputata esclusivamente all’atteggiamento provocatorio della Corea del Sud. Secondo molti analisti la Corea del Nord starebbe preparando un terzo test nucleare o un quarto test balistico: il regime sembra alla ricerca di colpi ad effetto per consolidare al potere Kim Jong-un, che ora si è instaurato come leader ma manca probabilmente della piena autorevolezza a cui aspira. Tutti gli attori regionali, come anche gli Stati Uniti, mantengono un atteggiamento di grande cautela, e la chiave per esercitare una qualche influenza su Pyongyang rimane a Pechino: un gioco molto complicato, dunque, senza soluzioni all’orizzonte.