intervista a Rachid Ghannouchi

“Dopo la caduta del blocco sovietico, la democrazia ha dilagato nel continente europeo. La nostra regione non era stata raggiunta da questa ondata di libertà ed eravamo rimasti indietro. Con la primavera araba ci stiamo rimettendo al passo” dichiara Rachid Ghannouchi intervenendo alla conferenza organizzata il 29 febbraio a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio. Tornato in Tunisia dopo ventidue anni di esilio, lo scorso ottobre Ghannouchi ha condotto alla vittoria il partito islamista Al-Nahda - la Rinascita - nelle prime elezioni dell’assemblea costituente dopo la caduta del presidente Ben Ali. “Fino ad ora, molti in Occidente sostenevano che non eravamo adatti alla democrazia; ora è evidente che questo non è vero e che siamo pronti al dibattito politico e al pluralismo”. Agli occhi dell’ideologo di Al-Nahda, il conflitto sullo scontro di civiltà sembra quindi aver perso parte della sua virulenza, riducendo il clima di ostilità tra l’Occidente e il resto del mondo. “Il mondo arabo non è più un’eccezione. Abbiamo dimostrato che i musulmani non sono nemici della democrazia. I religiosi non sono dei despoti. In molti casi, ad esempio in Italia, i partiti democratici di ispirazione religiosa hanno contribuito alla creazione di uno stato. La storia, quella araba e quella europea, è inoltre piena di esempi di laici diventati dittatori”. Ghannouchi sottolinea l’importanza del concetto di cittadinanza: dopo decenni di sudditanza, “la primavera araba vuole fare dei musulmani cittadini a tutti gli effetti.In questa ottica non bisogna fare differenze tra fedeli di diverso credo. Siamo tutti cittadini.”

Insieme ai progressi elencati da Ghannouchi, la primavera araba ha messo la regione di fronte a nuove sfide. Tra queste, è cruciale quella della sicurezza interna: “Distruggere è sempre più facile che costruire. In Tunisia, ad esempio, è diventato essenziale conciliare ordine e libertà. Fino ad ora la polizia garantiva il rispetto delle regole attraverso un sistema repressivo, ma non possiamo più accettare che sia un regime poliziesco a far rispettare la legge. Dobbiamo convincere i cittadini che questo è nel bene del paese” dichiara Ghannouchi.

L’altra grande sfida è quella economica. In Tunisia, la disoccupazione e l’iniqua distribuzione delle ricchezze rendono grave il quadro socio-economico del paese. Ci sono dei progetti per risolvere questi problemi?

Stiamo attraversando un periodo complesso, ma questo è naturale a un anno dallo scoppio della rivoluzione e dopo decenni in cui il vecchio regime ha condotto il paese in rovina, avvolgendolo in una rete di corruzione fittissima. Noi crediamo che la religione sia un elemento importante per combattere e ridurre la corruzione, insieme al rispetto dell’essere umano. In questi anni le democrazie occidentali hanno in parte perduto i valori morali ed etici che dovrebbero essere alla base della società. Noi vogliamo che tali principi tornino al centro del dibattito e recuperino valore anche in ambito politico. Il governo eletto in Tunisia ha solo due mesi di vita: si dovrà quindi attendere prima di vedere risultati concreti.

Purtroppo alcune imprese si sono ritirate, ma Europa, Stati Uniti e paesi del Golfo stanno avviando numerosi progetti di investimento. Abbiamo anche ribadito di voler rispettare i trattati firmati con le controparti occidentali. Ora i nostri partner dovranno confrontarsi non più con un dittatore, ma con un governo eletto democraticamente che dovrà tutelare gli interessi di tutti i suoi cittadini. Abbiamo un piano di ripresa per risolvere la crisi e siamo molto ottimisti. Vogliamo che i nostri giovani non espatrino. In Occidente avete paura dei flussi migratori.: per rassicurarvi posso dirvi che la fuga dei giovani tunisini preoccupa più noi che voi. Siamo i primi a rimetterci quando ragazzi in età produttiva abbandonano il paese. Abbiamo interesse a evitare che questo accada e siamo convinti che si possa evitare dando la possibilità ai giovani di realizzarsi all’interno dei nostri confini. E’ per questo motivo che la ripresa economica tunisina è un interesse comune. Dobbiamo tutti sperare che la transizione democratica tunisina raggiunga i suoi obiettivi.

A fine febbraio la Tunisia ha ospitato il vertice degli “amici della Siria”. Che risultati si sono raggiunti?

L’incontro è stato promosso dalla Lega Araba, dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea e siamo certi che questo ha mandato Bashar al-Assad su tutte le furie. Due sono state le condizioni poste per organizzare il vertice: in primis, che fossero convocati di tutti i paesi coinvolti, compresi Russia e Cina - che hanno poi declinato l’invito. In secondo luogo, la Tunisia ha chiarito fin dall’inizio che la conferenza non avrebbe dovuto legittimare nessun intervento militare in Siria. Nella memoria del mondo arabo l’idea di una simile iniziativa è negativa perché rimanda all’esperienza coloniale. Il nostro non è stato un incontro su questioni militari, ma su temi politici. E politici sono stati i risultati: delegittimando Assad, la conferenza ha dato ulteriore sostegno alla causa siriana e ha portato alla decisione di fornire aiuti umanitari alla popolazione locale.

Dopo decenni di opposizione clandestina, nei paesi dove hanno vinto le elezioni, i partiti islamisti devono dimostrare di saper governare, coinvolgendo tutte le forze politche e sociali nel processo democratico. Quanto sta facendo Al-Nahda può essere da esempio ad altri partiti nella regione?

Ora la Tunisia è governata da una troika formata da partiti islamisti, di centro e laici. Siamo sul banco di prova: se riusciremo a tenere testa agli estremisti e a rispondere alle sfide che ci si porranno davanti, in futuro supereremo anche la prova delle urne. L’esperienza di Al-Nahda può essere di esempio per il mondo arabo. Si presenta come un modello affascinante per altri paesi e viene guardato con molta ammirazione nella regione. Ciò non vuol dire che il nostro modello sia privo di difetti; ci sono problemi, ma ci adoperiamo per risolverli, sempre alla ricerca di un ampio consenso.