"Il caso catalano: la deriva “ungherese” della Spagna", Robert Doinel

 
 

Jose Lluis Trapero è il capo dei Mossos d’Esquadra, la polizia catalana, la più antica d’Europa. Eroe dopo l’attentato alle Ramblas a Barcellona, ma accusato di sedizione per non aver usato la violenza contro coloro che celebravano il Referendum dell’1 Ottobre 2017 per l’indipendenza. Rischia 15 anni di carcere. Perez de los Cobos è un colonnello della Guardia Civil, accusato di tortura e pestaggi. Per questi reati ha ricevuto l’indulto. Il primo di Ottobre fu lui a dare l’ordine ai suoi uomini di usare la violenza contro i manifestanti. In queste due figure ci sono le due facce della Spagna di oggi.

Da un lato Trapero, che si ispira al Capo della Polizia di Parigi Maurice Grimaud che, nei giorni arroventati del Maggio francese, decise di fermare le violenze poliziesche contro gli studenti perché “… Con l’eccesso nell’uso della forza… forse vinceremo la battaglia nelle strade, ma perderemo qualcosa di molto più prezioso: la nostra reputazione…” salvando cosi’ la Francia da un bagno di sangue, dopo 72 ore di selvaggia caccia all’uomo nelle strade di Parigi.

Dall’altra, Perez de los Cobos, uomo sospettato di coinvolgimento nel tentato golpe di Tejero, che in un momento cruciale della storia spagnola, dà l’ordine di attaccare inermi cittadini in fila per votare negli improvvisati ma funzionanti seggi catalani. Un gesto che ha drammatizzato la già difficile situazione del paese iberico.

Prigionieri politici

Oggi in Catalogna ci sono 11 persone in prigione accusate di sedizione e malversazione ( la malversazione per aver eseguito il Referendum…), con pene che variano tra 9 e 13 anni. Tra di loro due leader della società civile, reclusi per aver organizzato manifestazioni non violente (partecipate da un milione di persone), la presidente del Parlamento catalano Carme Forcadell, per aver convocato la plenaria del parlamento sul referendum e Oriol Junqueras, vicepresidente del Governo Catalano, eletto al parlamento europeo ma dove, per un artifizio giuridico dei Tribunali spagnoli che lo ha fatto decadere e soprattutto perché è detenuto, non ha mai potuto esercitare la sua funzione. Insieme a loro altri uomini e donne che hanno pacificamente partecipato alle manifestazioni e al Referendum.

Vale la pena soffermarsi un attimo sul reato di sedizione. Ad esempio in Italia esiste il reato di “adunata sediziosa” previsto dall’articolo 655 del Codice Penale. Recentemente è stato applicato ai militanti neofascisti che nel quartiere di Casalbruciato, a Roma, inscenarono una protesta contro i nomadi, con atti violenti e aggressioni. Pene previste: dalla contravvenzione fino ad un anno di galera. Cioè le pene (infinitamente minori di quelle previste dalla legislazione spagnola), si applicano quando la sedizione è associata all’uso della violenza. Ed è cosi’ in quasi tutta Europa. Tanto è vero che, finora, nessun paese della Ue ha applicato il mandato di cattura internazionale emesso dalla Spagna per gli esiliati catalani. Non c’è stata violenza in Catalogna da parte degli organizzatori del referendum e da parte dei cittadini. L’unica violenza è stata quella della Guardia Civil.

Ecco perché da anni Amnesty International denuncia la presenza di prigionieri politici in Spagna, riferendosi ai catalani. Denunciano la sproporzione delle pene e l’inesistenza di ragioni giuridicamente corrette per tenere in carcere i dirigenti e cittadini “catalanisti”. Ed ecco perché perfino il Gruppo di Lavoro sulla detenzione arbitraria delle Nazioni Unite ha chiesto alla Spagna, il rilascio dei prigionieri politici catalani ed il loro risarcimento per il tempo trascorso in carcerazione preventiva avendo : “ esercitato il loro diritto fondamentale a protestare pacificamente con i mezzi della disobbedienza civile”.

Il Giudice Emerito del Tribunal Supremo spagnolo, José Antonio Martin Pallin ha scritto su La Vanguardia: “Ho letto e visto in TV moltissime notizie su guerre civili e gruppi ribelli armati come veri eserciti. Non ho mai visto notizie di accuse penali contro una Presidente del Parlamento o contro i membri di un governo accusati di svolgere la propria funzione politica.”

Continuità con il franchismo

La Spagna che esce stremata dal Covid, non ha ancora risolto il suo problema con la gestione di uno Stato di Diritto. La vicenda catalana ne è l’ultimo esempio. Una storia che poteva essere chiusa da Rajoy ( l’allora Primo ministro popolare, il responsabile numero uno del precipitare degli eventi) con un semplice annullamento del referendum e con la volontà politica di portare tutti gli attori ad un tavolo di negoziato, si è trasformata in un dramma di galera e persecuzioni.

In Italia abbiamo raccontato questa storia con una buona dose di pigrizia, tranne pochissime eccezioni. L’indipendentismo catalano ci ha fatto tornare in mente il secessionismo di Bossi e della Lega pre-Salvini. La Sinistra italiana ha dimostrato una certa pigrizia di pensiero e non ha capito che il Movimento Catalano era esattamente agli antipodi della Lega di Bossi, per le sue radici a sinistra, per la sua capacità trasversale a partiti e ceti sociali, per la storia che si porta dietro. Quindi dentro la spinta catalana non c’è l’aspirazione di una regione ricca che vuole staccarsi dal resto della nazione per “fare finalmente da soli”. Ma l’aspirazione ad una democrazia più completa che si intreccia con la legittima richiesta di difesa della propria identità repubblicana e della propria lingua.

Inoltre la Catalogna non ha mai messo in discussione la solidarietà interregionale ed ha sempre adempiuto i propri obblighi obblighi fiscali nei confronti della Spagna senza mai battere ciglio, godendo di meno privilegi anche rispetto alle altre regioni autonome come ad esempio i Paesi Baschi. Per non parlare di Madrid, che gode di uno speciale regime fiscale che ne fa una sorta di “Olanda” nello stato Spagnolo.

Referendum per l’indipendenza della Catalogna Foto Roberto Mastroluca

Alle basi di questa ribellione civile e non violenta c’è un popolo, deluso dalla lunga transizione democratica, che vuole superare definitivamente la continuità con il vecchio regime franchista e che mal sopporta un paese che vive le sue diversità come un problema e non come una ricchezza per tutti.

Ci sono sicuramente ragioni storiche per questa perversa continuità tra il franchismo e la democrazia : In Italia Benito Mussolini fu giustiziato dai partigiani. Francisco Franco è morto nel suo letto. Non è una differenza da poco. Ma ci sono state anche convenienze: conveniva ai partiti appena usciti dalla illegalità accettare il compromesso con le oligarchie, annidate nello Stato e nell’impresa, per superare la paura di un ritorno alla dittatura della fragile democrazia nascente. In questo modo, pero’ non c’è stata giustizia. Nessuno ha pagato per i crimini della Guerra Civil, nessuno ha pagato per le decine di migliaia di innocenti incarcerati, torturati, fucilati o “garrotati” da Franco. E oggi se ne pagano i frutti amari.

Una questione europea

Ed ecco perchè la Catalogna diventa una questione europea. Perché l’Europa nasce proprio dalla rottura con il fascismo, il nazismo e la guerra. E l’ Europa che oggi prova a rivedere la luce immaginando una ricostruzione su basi diverse dal dettato neoliberista, non puo’ permettere o permettersi l’esistenza di uno Stato di Diritto à la carte. La Spagna come l’Ungheria o la Polonia? Bisogna avere il coraggio di dire: si’.

La Spagna rischia di diventare come i due paesi dell’est. Ma ci sono almeno due condizioni che possono impedire questa deriva. La prima già esiste e si chiama Diritto Europeo. Il 19 Dicembre del 2019 la Corte di Giustizia Europea di Lussemburgo poneva fine alla ottusa pretesa del Tribunal Supremo di impedire la proclamazione a parlamentari europei dei deputati catalani regolarmente eletti. E La Corte europea lo fa affermando un principio semplice ma potente: la sovranità è del popolo, nessun altro organo istituzionale o giuridico può impedire l’espressione della volontà popolare.

Quello stesso giorno, il Parlamento Europeo, con una rapidità esemplare e battendo sul tempo le resistenze di alcuni Gruppi parlamentari, accettò la sentenza della Corte di Lussemburgo e aprì le porte a Puidgemont, Comin e Ponsai, legittimi rappresentanti a Strasburgo del popolo catalano. La seconda condizione è, soprattutto, una speranza. Risiede nell’attuale Governo guidato da Pedro Sanchez, in coalizione con Pablo Iglesias e con i partiti autonomisti, catalani compresi. Se Sanchez e Iglesias avranno il coraggio di cercare una via d’uscita democratica dalla vicenda catalana, devono dimostrarlo concretamente , cominciando da un’amnistia ai prigionieri politici, passando per una riforma del sistema giudiziario e riaprendo il dialogo con Barcellona.

Solo così ci troveremo di fronte ad una svolta democratica di sostanza della società spagnola, capace di mostrarsi finalmente in grado di poter risolvere i conflitti interni con la politica e non più con la repressione. Ne saranno capaci ? Ce lo chiediamo tutti e lo auspichiamo. Ma servirà anche una opinione pubblica europea più attenta, meno distratta , che diventi una vera e propria “scorta democratica europea” a questo processo. Se non sarà così saranno guai, per la Spagna e per l’Europa.