dossier Limes, el Brasil de Bolsonaro

Care lettrici e cari lettori,

buon inizio settimana, oggi facciamo il punto sul Brasile.
Le elezioni presidenziali si sono chiuse con la vittoria di Jair Messias Bolsonaro, ex capitano dell'esercito e parlamentare di lungo corso capace comunque di presentarsi come candidato anti-sistema.
Di seguito trovate due analisi della sua vittoria, la sua prima intervista a un mezzo di informazione italiano (Limesonline), il chi è chi dei poteri forti in Brasile e il link al numero che dedicammo al paese in occasione dei Mondiali di calcio del 2014.
Grazie dell'attenzione e buona lettura!
Limes


 
 

Bolsonaro presidente, ma di chi?


Per la prima volta dal ritorno del gigante sudamericano nell’alveo delle democrazie, nella seconda metà degli anni Ottanta, un ex ufficiale delle Forze armate è stato eletto (con il 55% delle preferenze) capo dello Stato.
La carica ideologica della campagna elettorale e il trionfo di Bolsonaro sono lo specchio della crisi socio-economica e politico-istituzionale che flagella il gigante sudamericano e delle storture sulle quali è stata edificata la democrazia verdeoro.
L’ex capitano dell’Esercito ha fatto leva su diversi fattori. Primo, su una narrazione conservatrice, nazionalista, militaresca e religiosa. Secondo, sulla sua estraneità allo scandalo sul giro di corruzione (Lava Jato) ai massimi livelli dello Stato, che ha colpito trasversalmente i maggiori partiti del paese, incluso il Partito dei lavoratori dello sconfitto Fernando Haddad. Terzo, sulla rinnovata polarizzazione dell’elettorato. Quarto, sulla crisi di legittimità dell’establishment politico e in particolare del centrodestra, al governo con l’impopolare Michel Temer dal 2016.
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Armato, filo-Usa e antisindacale
Il Brasile di Bolsonaro

 

"Non mi fraintenda, nessuno qui vuole una nuova dittatura militare."

 

Leggi l'intervista a Jair Bolsonaro


Bibbia e Trump,
il nuovo Brasile di Bolsonaro

 

La vittoria di Jair Messias Bolsonaro alle elezioni presidenziali in Brasile porterà senza dubbio al tentativo di chiudere definitivamente il capitolo aperto nel 2003 da Lula da Silva (che non si è potuto ricandidare per guai giudiziari) e proseguito fino all’impeachment di Dilma Rousseff nel 2016.


Quattordici anni che hanno segnato l’ingresso in politica - sotto le insegne ideologiche di una sinistra non completamente post-marxista - di un’ampia fascia della popolazione rimasta emarginata anche dopo il 1985, con il ritorno della democrazia: poveri, minoranze etniche (meticci compresi), contadini senza terra, omosessuali. E che hanno visto il Brasile cercare di conquistare quella centralità geopolitica che le dimensioni (5° Stato più esteso al mondo, oltre 200 milioni di abitanti) e la storia gli assegnerebbero, ma che l’assenza di volontà e la marginalità del contesto sudamericano le hanno impedito di assumere.


Dai Brics al tentativo di negoziare con la Turchia un accordo sul nucleare iraniano, dalla riscoperta dei legami con l’Africa e il mondo lusofono, il Brasile ha cercato per anni di accrescere il proprio status internazionale con un’agenda quanto più possibile autonoma rispetto a quella degli Stati Uniti. Riuscendo a mantenere un buon rapporto con Washington, restia per natura a tollerare potenze emergenti nel suo stesso emisfero, e contenendo i disegni contro-egemonici del Venezuela di Chávez, con cui pure c’era una certa sintonia ideologica.


Messias Bolsonaro promette di sostituire la Bibbia al marxismo e Donald Trump a Hugo Chávez.

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Chi comanda davvero in Brasile?

 

Questa è la domanda che appare ripetutamente nel dibattito pubblico brasiliano, in particolare nei momenti di crisi o quando c’è bisogno di trovare facili colpevoli a problemi complessi.
«La Globo» è la risposta più gettonata. Soprattutto da parte di coloro che addossano al più grande conglomerato mediatico-televisivo dell’America Latina tutte le storture del gigante sudamericano. «Le banche», è la risposta che arriva subito dopo. Dato che le istituzioni finanziarie brasiliane sono considerate a metà tra agenti del demonio collusi con il governo e vampiri assetati di risorse provenienti dal duro lavoro dei brasiliani. «I militari» è la terza scelta, soprattutto quando c’è bisogno dello spauracchio di possibili golpe o interventi militari.
«La Chiesa cattolica» e «gli evangelicali» pareggiano per livello di influenza sulla politica e sulla società del Brasile, con un sorpasso sempre più evidente dei secondi. «I fazenderos» è la risposta preferita di chi imputa ai grandi possidenti terrieri tutte le responsabilità per il sottosviluppo del paese. «I giudici» invece è la risposta più recente, emersa con forza soprattutto dopo il terremoto politico-giudiziario dell’operazione Lava Jato, la Mani Pulite locale, che sta falcidiando la classe politica brasiliana. Seguono «gli industriali», «i sindacati», e «i quattrocentoni», soprannome delle grandi famiglie tradizionali di San Paolo, metafora per l’élite economica nazionale. Per finire con «il Pcc», il Primeiro Comando da Capital, l’organizzazione criminale che sta conquistando il monopolio dei traffici illeciti in Brasile e in tutto il Cono Sud. Continua a leggere


Brasiliana

Il numero che Limes ha dedicato al gigante verdeoro in occasione dei Mondiali di Calcio 2014. Vai al sommario