Per la Cina, Hong Kong è troppo importante per diventare democratica

Carta di Laura Canali, 2017

Carta di Laura Canali – 2017

BOLLETTINO IMPERIALE Pechino ha bisogno del Porto profumato come “superconnettore” con il resto del mondo. Il suffragio universale all’occidentale resta un miraggio.

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La Repubblica Popolare ha sensibilmente ridimensionato le aspettative democratiche di Hong Kong. Lo conferma il calo della partecipazione alla consueta manifestazione di protesta dello scorso 1° luglio (giorno del ventunesimo anniversario della restituzione dell’ex colonia britannica alla Cina) contro Pechino, accusata di erodere lentamente l’autonomia dell’odierna regione ad amministrazione speciale (Hksar).


Cinquantamila persone hanno partecipato alla marcia, secondo gli organizzatori del Civil human rights front. La polizia ne ha contate quasi diecimila. In entrambi i casi si tratta di uno dei peggiori risultati di sempre. Il primo dato in particolare non ha nulla a che vedere con i 100 mila stimati nel 2016 né tantomeno con gli oltre 500 mila calcolati nel 2014, quando il movimento ha lanciato la cosiddetta “rivoluzione degli ombrelli”.


Il Porto profumato (questo significa Hong Kong) è oggi uno dei più importanti centri finanziari del mondo, uno dei primi porti a livello globale per container movimentati e la testa di ponte della Repubblica Popolare verso l’Occidente sul piano politico.


In base al modello “un paese, due sistemi”, la Hksar gode fino al 2047 di un peculiare status politico, economico e sociale in stile occidentale, che fornisce ai suoi cittadini maggiori diritti rispetto a quelli del resto della Repubblica Popolare. Inclusi il libero accesso a Internet, una certa autonomia da Pechino dell’esecutivo, del legislativo e del giudiziario e quindi il diritto di votare i propri rappresentanti.


Tale impostazione ha permesso alla Cina continentale di avere sin qui il consenso delle categorie professionali più rilevanti, le quali hanno un ruolo primario nel funzionamento del sistema elettorale oggi in vigore nella regione.


Nel 2014, la Repubblica Popolare ha offerto la possibilità di introdurre nella Hksar il suffragio universale in quanto “scopo ultimo” della Basic Law, la mini-costituzione che regola la regione. Tuttavia, il piano di riforma proposto lasciava sostanzialmente invariato il meccanismo elettorale, determinando un capo dell’esecutivo allineato politicamente con il governo centrale. Il malcontento a riguardo ha generato la sopramenzionata rivoluzione degli ombrelli, guidata dal movimento Occupy central for love and peace.


Nel 2015, il Consiglio legislativo (il parlamento locale) ha pertanto respinto il progetto e conservato il sistema precedente. Per gli hongkonghesi è sfumata l’opportunità di godere di un “vero” suffragio universale.


L’1 luglio 2017, il presidente cinese Xi Jinping in persona ha presenziato al giuramento del neo-eletto capo dell’esecutivo locale Carrie Lam e la Liaoning (prima portaerei cinese, di fabbricazione ucraina) è approdata per la prima volta nel Porto profumato. Il messaggio era chiaro: Hong Kong è Cina.


Pechino non permette a Hong Kong di godere di un sistema democratico in stile occidentale perché non è in linea con la concezione cinese di democrazia e perché potrebbe alimentare il desiderio di maggiore libertà nel resto della Repubblica Popolare. Tale dinamica metterebbe a repentaglio la supremazia del Partito comunista e quindi la stabilità del paese.


Il governo centrale adotta due strategie per fiaccare le aspirazioni democratiche del Porto profumato e non intaccarne l’equilibrio complessivo.


La prima prevede l’intensificazione dell’integrazione economica e infrastrutturale dell’Area allargata della baia (in cinese Yue Gang’Ao dawanqu) sul delta del Fiume delle Perle, composta da Hong Kong, Macao e nove città del Guangdong (Guangzhou, Shenzhen, Zhuhai, Foshan, Zhongshan, Dongguan, Huizhou, Jiangmen e Zhaoqing).


L’economia di Hong Kong è fortemente legata a quella del resto della Repubblica Popolare. Il Porto profumato è il primo partner della Cina continentale per investimenti, il terzo per interscambio commerciale dopo Usa e Giappone e la sua principale piattaforma finanziaria oltreconfine.


Si stima che nel 2030 la Baia allargata avrà un output economico pari a 3.6 mila miliardi. L’agglomerato dovrebbe competere con i grandi centri tecnologici stranieri e sostenere il piano Made in China 2025, con cui la Repubblica Popolare vuole diventare una superpotenza manifatturiera. A patto che la guerra commerciale con gli Usa non vanifichi gli sforzi.


Pechino ha sviluppato quest’anno due infrastrutture per consolidare l’integrazione geoeconomica tra Hksar e Cina continentale. La prima è il ponte che unisce Hong Kong, Macao e Zhuhai. A causa di alcuni problemi logistici, la sua apertura non è coincisa con il ventunesimo anniversario della restituzione di Hong Kong. Una volta operativo, il ponte dovrebbe sensibilmente accorciare la durata del tragitto tra le tre città. La seconda infrastruttura è la linea ferroviaria ad alta velocità che collega l’ex colonia a Shenzhen e Guangzhou. In base a una legge approvata a giugno, le forze di polizia della Repubblica Popolare potranno applicare le leggi della Cina continentale nella stazione di Kowloon Ovest malgrado questa si trovi nella Hksar. Tale misura indica chiaramente che il grado di autonomia della regione dipende dalla volontà di Pechino.


L’integrazione infrastrutturale facilita il trasferimento degli hongkonghesi nella Cina continentale. Già 500 mila hanno rinunciato ai vantaggi sociali della Hksar, attratti da immobili meno costosi e più spaziosi. Nel 2009 erano solo 155 mila. Aumentano anche gli investimenti da parte dei cinesi ricchi della Repubblica Popolare nel Porto profumato. Qui alimenteranno il sostegno verso Pechino in virtù degli interessi che hanno nella Cina continentale.


Nel lungo periodo, questa commistione potrebbe far affievolire il sentimento di appartenenza alla città e rafforzare su di essa la sovranità di Pechino, che si dedica a questa attività in maniera ufficiale e ufficiosa sin da quando Hong Kong era colonia britannica.


La seconda strategia di Pechino consiste nel rilanciare Hong Kong quale centro finanziario nell’ambito della Belt and Road Initiative (Bri, o nuove vie della seta), l’iniziativa infrastrutturale e commerciale promossa da Xi Jinping per incrementare le connessioni tra Repubblica Popolare ed Eurasia.


Il Porto profumato ha ospitato un summit dedicato al suo ruolo nell’iniziativa proprio pochi giorni prima dell’anniversario della “restituzione”. Obiettivo: rimarcare l’essenziale ruolo di “facilitatore” finanziario e commerciale della Hksar nella cornice della Bri.


Dalla prosperità della regione dipende il consenso dell’élite economica locale. Di qui la necessità di garantire a Hong Kong lo status di “superconnettore” tra Cina e resto del mondo.


È probabile che Pechino adotti questo approccio duale fino al 2047, quando potrà rinnovare, rivedere, o abrogare la Basic Law. Tra le tre alternative, la terza sembra la meno conveniente.


La totale erosione dell’autonomia della regione non solo limiterebbe la sua proiezione internazionale ma soprattutto potrebbe riaccendere le proteste locali. Creando nuovi grattacapi al Partito comunista cinese.